Addio al Maestro Battiato, fu la colonna sonora del Mundial 82

«Il calcio mi ha trasmesso sensazioni metafisiche: quando andavamo in trasferta nei vari paesi siciliani, avevo l’impressione che ogni Paese fosse avvolto da una specie di personalità, che dava un sapore diverso a ogni luogo». Considerazioni che sembrano recentissime, correlate al dibattito sulla Super Lega, e non di quasi un quarto di secolo fa.

Parole e musica proferite da Franco Battiato, uno dei più grandi cantautori della musica italiana, che ci ha lasciati stanotte all’età di 76 anni. Il Maestro non ha mai smesso di amare anche il calcio. Ha amato il calcio, come Papa Giovanni Paolo II, Camus e Pasolini.

Dalle sue parole si nota, tangibile, una visione ancestrale, intima ma anche olistica del calcio. Franco Battiato ha giocato anche a livelli dilettantistici. In un’intervista alla Gazzetta dello Sport ha raccontato tanti aneddoti.

«Al calcio devo il mio naso pronunciato – ricordava Battiato -. Avevo 12 o 13 anni e un giorno, durante una partita, sbattei contro un palo della porta. Restai svenuto a lungo. Quando tornai in me, il naso era lievitato. Mio fratello suggerì: ‘Vai a casa e fila a dormire senza farti vedere’. Il mattino dopo la nonna venne a svegliarmi e alla vista della mia faccia prese ad urlare. Era una Sicilia distratta, accadevano cose tribali. Mia madre si preoccupò, ma aspettò una settimana prima di portarmi dal dottore. Il medico sentenziò: ”Se l’avessi visto subito, gli avrei ridotto la frattura. Ora non posso fare più niente”». 

Franco Battiato in una partita della Nazionale cantanti (Foto Zona Cesarini)

In alcuni coccodrilli di giornali online viene evidenziata la presunta antijuventinità di Battiato. Pensando al genio di Riposto, la prima cosa che viene in mente è indubbiamente la smisurata passione per il calcio e il tifo appassionato e verace. Da ragazzo ha militato in varie squadre siciliane di serie inferiori. Pietro Anastasi, calciatore che ha militato con le maglie di Juve e Inter, tra le altre, era il suo idolo.

«Io interista? No. Simpatizzo per le squadre che giocano bene: formazioni senza fuoriclasse, ma che hanno un’anima. Da ragazzo giocavo nel Riposto, espressione di un paese tra Catania e Taormina. Arrivammo in Promozione, ma la società rinunciò per motivi economici. Tutti parlavano del centravanti della Massiminiana di Catania. Dicevano: ‘Farà grandi cose’. Si chiamava Pietro Anastasi. Ero mediano e mi ritrovai ad agire come libero. Un ruolo nuovo, per l’epoca. Credo di essere stato uno dei primi liberi siciliani. In senso temporale, intendo».

«Ad Acireale, ultima partita di campionato. Noi primi in classifica, senza la macchia di una sconfitta. Inchiodammo gli avversari nella loro area, ma non c’era verso di segnare: pali, traverse, deviazioni. Io passai il tempo a grattarmi le caviglie sulla linea di centrocampo. All’ultimo minuto l’ala destra dell’Acireale partì in contropiede ed effettuò un cross per l’ala sinistra. Intercettai maldestramente il passaggio e spedii la palla all’incrocio. Un autogol meraviglioso. E rammento un attaccante del Taormina, specialista nel fare gol dalla bandierina del calcio d’angolo. Impressionante: il colpo gli riusciva una volta a partita».

Il legame di Franco Battiato con il calcio non finisce qui. Nell’estate del 1982, quella del trionfo Mundial, tutte le radio trasmettevano “La Voce del Padrone”. Sembrava che il celebre cantautore siciliano fosse un componente di quella spedizione trionfale.  Cuccurrucucù (paloma) era la pietra miliare di quell’estate magica. I calciatori la ascoltavano a ogni trasferta e la carica che dava li proiettava in un’altra dimensione. In una sorta di “centro di gravità permanente” fino all’ingresso al Bernabeu…