Roberto Anzolin, storico portiere della Juve avrebbe compiuto oggi 83 anni oggi 18 aprile. L’estremo difensore nativo di Valdagno è scomparso il 6 ottobre 2017. Sfoderava classe robusta e cuore autentico. Un portiere freddo, essenziale, con pochi fronzoli, ma piuttosto moderno, vista la predisposizione ad uscire dai pali.
Čestmír Vycpálek, zio di Zdenek Zeman, lo ha descritto così: «Fra i pali era agile come un gatto, praticamente imbattibile, schizzava da un palo all’altro con guizzi felini. Nelle uscite basse era impeccabile, non altrettanto nelle mischie e in quelle alte».
L’allenatore boemo ha avuto Anzolin alle sue dipendenze quando allenava il Palermo. Nel capoluogo siciliano arrivò giovanissimo, ad appena 19 anni. Quel Palermo che lo prelevò dal Valdagno Marzotto squadra che militava in B.
Il Palermo offrì 5 milioni in più rispetto al Milan. Per un veneto non era comune andare a giocare a 1000 km di distanza in direzione sud. Recatosi in treno da Padova a Roma, un dirigente della squadra lo venne a prendere con un’Aprilia da corsa portandolo a Napoli. Sembrava di stare sul circuito di Vallelunga: “Piano, ho una carriera davanti…”. Dopo i primi pianti, Anzolin si innamorò della città siciliana. Al punto tale che la pasta alla norma, che mangiò appena arrivato, è diventato il suo piatto preferito.
Venne soprannominato “saracinesca”. La miglior partita in rosanero la ha disputata contro la Juve a Torino, dove il Palermo si arrese solo per un gol in fuorigioco di Sivori. Rimase due stagioni al Palermo, ma il legame con la piazza e la città è rimasto indelebile. Quando gli fu comunicato il passaggio alla Juve, non la prese benissimo. “Ti abbiamo venduto alla Juve, ma non dirlo, se no scoppia la rivoluzione”. Ad ogni modo in bianconero gli fu triplicato l’ingaggio, che passò da 5 a 15 milioni all’anno.
Con la maglia della Juve, Anzolin ha totalizzato 310 presenze in 9 stagioni, vincendo lo scudetto nel 1967. Era solito portare un ciuffo e indossare un originale maglione bianco dal collo a V.
Anzolin ha raccontato la partita che ritiene più memorabile: «Ai quarti di coppa Campioni trovai il Real Madrid. Febbraio ’62. A Torino presi gol da Di Stefano. A Madrid vincemmo noi con Sivori. Nicolè sbagliò un gol al 90′ così ci toccò lo spareggio di Parigi, che perdemmo. Ma al Bernabeu avevo parato tutto, anche una cannonata di Puskas che mi arrivò al mento e mi stese ko. Nessuno, prima di noi, aveva sconfitto il Real in quella coppa». I titoli dei giornali furono trionfali: «Anzolin meglio di Zamora» e «Anzolin come Jascin».
Anzolin non si è fatto mancare attacchi nei confronti dei suoi rivali «Ai Mondiali del ’66 avrei dovuto giocare io. Quel diagonale del coreano io l’avrei parato. Sicuro. Ma è vero: io non mi vendevo molto bene… Per un errore di Zoff i giornali avevano sempre giustificazioni». Mentre ha definito Albertosi “diplomatico”, a differenza sua, che non le mandava a dire.
Nel 1968 ha vinto il “Premio Combi”, assegnato al miglior portiere italiano. Ha disputato una sola partita in Nazionale, un’amichevole contro il Messico in vista dei Mondiali 1966. Ha partecipato alla rassegna iridata, senza tuttavia mai scendere in campo.
Ha raccontato così il suo rapporto con la famiglia Agnelli: «Quando giocavo nel Palermo, ho disputato due campionati ad alto livello e questi mi hanno permesso di essere acquistato dalla Juventus. Allora, il presidente era Umberto Agnelli. Dopo sono subentrati Catella e Boniperti, e poi c’è stato l’ingresso di Gianni Agnelli. Tutte persone, gli Agnelli, eccezionali, nel vero senso della parola, perché queste persone le ricorderò finché scampo, in quanto persone intelligenti, modeste, anche se avevano alle spalle quello che tutti immaginiamo».
Nel 1970-71 si è accasato all’Atalanta in serie cadetta. Con gli Orobici ha stabilito il record di imbattibilità, tenendo inviolata la porta per 792 minuti.
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione