Come riformare la Serie A
Andrea Agnelli ha affermato che sono troppe 20 squadre di Serie A. “L’equilibrio che stiamo cercando di raggiungere è di avere un terzo delle partite internazionali e due terzi di partite nazionali. Abbiamo Paesi come l’Inghilterra dove il numero massimo di partite arriva fino a 53 o 54, mentre la Germania si ferma a 43 partite massimo”.
Minore qualità, maggiore quantità. Il tutto anche per evitare che «i giocatori [siano] spinti oltre i loro limiti fisici».
La riduzione delle squadre da 20 a 18 non è l’unica ricetta, ma è un punto di partenza fondamentale. Con 34 partite al posto di 38 i vantaggi sarebbero molteplici. In primo luogo si eviterebbe di comprimere il calendario, limitando i match giocati ogni tre giorni. Naturalmente ne gioverebbero le italiane impegnate in Europa, troppo spesso arrivate senza benzina in primavera dopo un buon autunno.
Nelle ultime giornate ben poche squadre sarebbero senza obiettivi. Ancora più avvincente sarebbe un play-out, coinvolgendo anche squadre di serie cadetta, oltre magari alla terzultima e alla quartultima. Con il format di adesso, tra pochissime giornate (e ne mancano ancora 13) varie squadre non avranno più nulla da chiedere a questa Serie A.
Una riforma giusta non può prescindere da una redistribuzione dei diritti TV. Tuttavia una redistribuzione che preveda obblighi di investimento. In Inghilterra circa la metà è distribuita in parti uguali.

Prendiamo ad esempio la cifra tonda di un miliardo di euro da distribuire tra le 18 compagini. La Juventus, prima squadra italiana nell’ultimo quinquennio (periodo di riferimento), riceverebbe 55,5 milioni come quota per parti uguali, 25 milioni come “facility fee” e 25 milioni in base al merito. Percentuale totale simile a quella attuale, ma una somma superiore grazie alla riduzione delle squadre.
A quel punto ne beneficerebbero tutte. Un Empoli salito in Serie A avrebbe come quota base i famosi 55,5 milioni (sulla base del miliardo di riferimento). Tuttavia, per poter accedere alla quota uguale per tutte le squadre, le compagini dovrebbero garantire investimenti. Ci riferiamo a strutture, settori giovanili e numero di calciatori italiani under in rosa. Pertanto, gestioni alla Zamparini o alla Preziosi degli ultimi anni non sarebbero consentite.
Per quanto riguarda i calendari, la Lega dovrebbe tener conto delle italiane in Europa. In quest’annata, caratterizzata dalla pandemia, è arrivato il capolavoro supremo. Juve e Napoli non si sono mai fermate da metà gennaio fino alle partite in Europa, arrivando scariche all’appuntamento nelle rispettive coppe.
In ultima analisi, va riformulata la Coppa Italia. Con quattro partite in meno di Serie A, la Lega potrebbe pensare di ridare lustro alla coppa nazionale. Perché non far disputare le partite in casa delle avversarie di livello inferiore? Covid permettendo, un Manuzzi, uno Scida, un Ardenza, un Menti, un Massimino, un San Nicola pieni non potrebbero che restituire alla Coppa Italia un entusiasmo che manca da troppi anni. Basterebbe far partire le big un turno prima.
Queste riforme non possono prescindere da uno svecchiamento dei vertici dirigenziali. Una pletora di personaggi con pensieri vetusti popolano le stanze dei bottoni. Risorse che portino una ventata di aria nuova sono cruciali ai fini di questo cambiamento. E, naturalmente, servono leggi che snelliscano le procedure per le costruzioni di stadi e strutture varie. La situazione dello Stadio della Roma ci ha insegnato che in Italia certi personaggi sono come gli “esattori” dei vari check-point presenti in strade di Paesi arabi…

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione