Al Napoli è bastato ben poco per incamerare l’ennesima brutta figura di una stagione ricca di contraddizioni. In cui le verità di una prestazione entusiasmante vengono subito dopo mortificate da un’altra in tono decisamente minore.

Del resto, la sconfitta di Granada, oltre a portarsi probabilmente via i sogni europei, può essere considerata lo specchio fedele del rendimento ondivago e uterino degli azzurri. Puniti inesorabilmente, questa sera, da errori individuali e macroscopiche topiche collettive in occasione dei due gol subiti nell’arco di un paio di minuti, nel primo tempo.

La verità è che, ancora una volta, bisogna interrogarsi sui motivi per cui la squadra partenopea abbia palesato una disarmante mediocrità nella gestione del piano gara. Oltre alla solita insufficiente intensità nel dare ritmo alle due fasi in cui si articola il gioco.

Le difficoltà concettuali del Napoli

Quello che imbarazza maggiormente, nell’analisi critica della trasferta in Andalusia, è dover sottolineare le gravi manchevolezze del Napoli. Determinanti in tutte le situazioni favorevoli alla squadra di Diego Martínez.

Come se a reiterare sempre gli stessi sbagli nelle letture fossero giocatori nient’affatto abituati a misurarsi a questi livelli. Un misto di superficialità nell’approccio alla giocata, e puerili disattenzioni, che ormai caratterizzano l’annata partenopea.

L’azione che è costata il raddoppio, indirizzando tatticamente ed emotivamente il match, non è stata certamente isolata. Eppure, ha messo paurosamente a nudo le difficoltà sul piano concettuale di un gruppo con grossi limiti. Innanzitutto mentali.

Il gol di Kenedy, infatti, racchiude in sé parecchi temi tecnico-tattici.

L’azione nasce da una palla persa da Politano. La situazione ideale per innescare il conseguente contropiede del Granada. Alimentato, però, da una scelta offensiva controproducente dell’esterno azzurro.

Che vista la disposizione degli avversari, ben posizionati sotto la linea della palla, con le linee strette e corte a dare compattezza centrale al loro assetto difensivo, sicuramente non avrebbe dovuto portare l’attrezzo dall’esterno all’interno, in conduzione orizzontale.

E’ indubbio che il fatto che i compagni restino sostanzialmente fermi, senza produrre alcunchè in termini di movimenti senza palla, non dia nessuna opzione di passaggio a Politano.

Ma la mancanza di un’alternativa plausibile al tentativo di dribbling diventa sanguinosa. Soprattutto se poi perdi un pallone del genere, al cospetto di un avversario che produce calcio attraverso rapidi ribaltamenti, saturando le corsie con i suoi velocissimi offensive players. Ribaltando il campo con tre passaggi in verticale.

Una disattenta difesa posizionale

Trascurando il cattivo piazzamento della linea difensiva sul cross che ha generato lo svantaggio iniziale, con Di Lorenzo preso in mezzo. Il terzino stringe verso il centro, facendosi attirare dalla palla. Mentre avrebbe dovuto scivolare all’indietro lasciando la marcatura diretta a Maksimovic, fermo in mezzo all’aria senza uomini da “battezzare”.

Uno dei principi che permettono ad una squadra come il Napoli, strategicamente portato ad abbassare il baricentro, è quello di prestare la massima attenzione alla difesa posizionale.

D’altronde, se Gennaro Gattuso pretende di creare gli spazi, deve necessariamente accettare l’altrui pressione. Come elemento preparatorio da utilizzare a proprio vantaggio, invitando la controparte ad alzarsi tanto, affinchè possa successivamente attaccarla alle spalle. 

Nondimeno, se l’atteggiamento tattico diventa troppo passivo, piuttosto che rivelarsi funzionale a stanare l’avversario, finisce per schiacciare gli azzurri abbondantemente verso la proprio area di rigore. Se non addirittura all’interno della stessa.

Così, la volontà di Ringhio si è scontrata con le consuete amnesie dei suoi giocatori.

Una fase offensiva lenta ed imbolsita

I problemi del Napoli, tuttavia, non si sono limitati solamente alla fase di non possesso. Pure con il pallone tra i piedi, i partenopei hanno dimostrato ciclopiche difficoltà nella circolazione.  

L’idea di sfruttare il gioco in coppia sugli esterni, favorendo le catene laterali, al fine di liberare il binario in fascia alle sovrapposizioni dei terzini non ha visto mai la piena realizzazione.

Questo modo di lavorare genera sontuosi dividendi solo nel caso il pallone venga mossa celermente. E con precisione.

Ovviamente, la lentezza nel giropalla ed i ritmi da torneo amatoriale o dopolavoro calcistico hanno pregiudicato la riuscita del progetto. Aggravata dal ricorso ai lanci lunghi, spesso imprecisi, che hanno consentito al Granada di assorbirli facilmente.

A peggiorare la situazione, come già accennato, l’assoluta latitanza del movimento senza palla. Condizione imprescindibile per disallineare la difesa degli spagnoli, dilatandone gli spazi tra i reparti.

In definitiva, il Napoli “ammirato” al Nuevo Estadio de Los Cármenes ha impressionato, qualitativamente e quantitativamente, per la scadenza di gioco e mentalità.

Quel che è peggio, rispetto ad avere un piede e mezzo fuori dall’Europa League, rimane la strisciante sensazione che questa squadra impalpabile non dipenda esclusivamente dalle assenze. Bensì, abbia radici assai più profonde…

Francesco Infranca