I match analyst sono davvero fuori dalla realtà?

La figura del match analyst in ambito calcistico esiste in Italia almeno da un quarto di secolo. Nel 1995 la società SICS ha iniziato a sviluppare analisi video di match di calcio e oggigiorno è impegnata formare queste figure attraverso corsi tenuti a Coverciano.

Maurizio Viscidi, vice-coordinatore delle nazionali italiane, ha spiegato, a suo tempo, che “il match analyst è come il radiologo: ti dice quello che hai di rotto, ma non opera”. Si tratta ovvero di un valido collaboratore dell’allenatore, fondamentale figura di confronto per comprendere gli errori, studiare l’avversario, capirne punti di forza e debolezza, etc. Questo collaboratore raccoglie naturalmente dati statistici delle squadre, carpisce la condizione fisica della propria squadra e dell’avversario, analizza i singoli calciatori di movimento e portieri e, inoltre, analizza anche le strategie utilizzate durante gli allenamenti.

La figura è nata nell’Inghilterra degli anni ’50 grazie a Charles Reep, il quale raccoglieva video delle squadre della First Division per tracciarne un quadro tattico dettagliato. L’antesignano più famoso è senza dubbio il Colonnello Lobanovski, totalmente a proprio agio in questa sorta di doppia veste.

Oggigiorno i match analyst sono totalmente integrati nel gruppo squadra e svolgono un ruolo fondamentale di collaborazione con allenatore e altri componenti dello staff. Appena arrivato a casa, un Antonio Gagliardi (uno dei più famosi nel campo) studia il video del match appena giocato, svolge un lavoro di ore e ore. Una volta terminato, sottopone tutti gli spunti salienti ad allenatore e calciatori. Le competenze decisionali spettano sempre all’allenatore, ma è il match analyst della squadra a dover presentare tutti i dati tattici.

Si tratta di un lavoro “sporco”, ma che prevede competenze tecnico-tattiche non indifferenti. Un match analyst uscito da Coverciano, diventato tale a seguito di una selezione accurata, non può che essere una persona dotata di queste conoscenze tattiche fuori dall’ordinario.

Tuttavia sui social stanno dilagando le polemiche sull’utilità e le effettive competenze dei match analyst. Twitter pullula di ragazzi che hanno questa qualifica e dotati di conoscenze tattiche inappuntabili. Tuttavia, immaginiamo degli insegnanti di scuola secondaria. A parità di competenze viene più apprezzato chi veicola adeguatamente il messaggio, chi mette in condizione gli alunni di rendere, chi è bravo psicologo, chi riesce ad adattarsi.

Sul web troviamo match analyst di tutti i tipi, naturalmente con un punto in comune: tutti coloro che possiedono la qualifica sono in grado di studiare una partita tatticamente. La competenza non può essere pertanto in discussione.

La differenza da esperto a esperto sta nel saper contestualizzare o meno. C’è chi riesce a mettersi nei panni di un allenatore calciatore, e chi chiede la luna, dimenticando fattori esterni che esulano dalla tattica.

Ad esempio, quando viene esaltata una squadra che va gioca a meraviglia, non si può prescindere da una valutazione del valore della rosa e dei soldi investiti sul calciomercato. Un allenatore a cui la dirigenza ha regalato calciatori per un miliardo di euro nel corso di pochi anni è obbligato a esprimere un gioco inappuntabile a livello tecnico-tattico, fatti salvi i casi di assenze.

Un tecnico che ha pochi giocatori a disposizione, con una squadra piena di problemi ed elementi demotivati, conflittuosi o messi gioco forza fuori posizione causa mancanza di alternative, ha decisamente tante attenuanti.

L’esempio lampante delle differenze di valutazioni tra gli stessi match analyst è Dayot Upamecano, centrale francese per cui il Bayern ha investito i soldi della clausola. Il giudizio tra gli stessi professionisti è stato opposto: c’era chi lo reputava mediocre e inadeguato, chi ne intravede doti per trovarsi al meglio nella difesa di Flick. Ai posteri l’ardua sentenza!