Davide Ballardini è stato richiamato in panchina dal Genoa lo scorso dicembre. Nulla di strano, potremmo aggiungere. Cambiare guida tecnica è quasi un atto dovuto. Ovviamente, secondo la mentalità imperante nell’italico pallone, quando i risultati stentano ad arrivare.
In effetti, al momento dell’esonero, il ruolino di marcia del Grifone targato Rolando Maran era abbastanza povero. Complice pure i tantissimi contagi che avevano funestato la rosa all’inizio del campionato, i punti messi insieme dai rossoblù erano pochini: solamente 7 in 13 partite.
E sino a qui, tutto nella norma. Si fa per dire. Perché Enrico Preziosi e Ballardini si giurano per la quarta volta amore eterno. Almeno finchè dura.
La sensazione è che il noto produttore di giocattoli non possa fare a meno di rivolgersi a chi, in precedenza, gli ha risolto un mucchio di guai.
Trascurando un piccolissimo particolare. Ovvero, che spesso e volentieri, a finire con le spalle al muro, calcisticamente parlando, abbia contribuito proprio lui, in qualità di presidente.
Bisogna sottolineare che nell’arco del suo percorso professionale, Ballardini non s’è fatto mancare nulla, in termini di scelte coraggiose. Tant’è vero che, a questo punto di una carriera rispettabilissima, è già stato alle dipendenze anche di Cellino, Zamparini e Lotito.
Insomma, un temerario, prim’ancora che un allenatore chiamato al capezzale del malato di turno, per rimettere a posto le cose…
Occhio al gioco posizionale del Genoa
Il nuovo corso di Ballardini sulla panchina del Genoa è iniziato alla grande. Lo aveva preso penultimo. Mentre adesso l’ha trascinato, a suon di risultati positivi, fuori dalle secche. Con un margine di vantaggio dalla zona retrocessione di ben quattro lunghezze.
Nelle 7 gare totalizzate finora, ha messo insieme la bellezza di 14 punti, frutto di quattro vittorie, due pareggi e soltanto una sconfitta.
Ballardini ha costruito un Genoa che prova a sviluppare un calcio posizionale. L’idea è quella di portare molti uomini nella trequarti altrui, interpretando un piano gara funzionale a giocare sempre in verticale. Un’architettura tattica dove si calano alla perfezione giocatori dall’indole associativa come Strootman, Zajc.
Mattia Destro, il redivivo
Tra i segreti della rinascita c’è sicuramente il recupero di Mattia Destro. Decisivo nella prepotente risalita in classifica genoana.
Dei 9 gol realizzati in questa stagione, infatti, 6 sono arrivati durante la nuova gestione. Addirittura, a gennaio è stato talmente dominante, segnando 5 gol in appena 4 partite da titolare, da strameritarsi il premio di calciatore del mese AIC.
Una formidabile resurrezione quella dell’enfant prodige, scuola Inter. Magari sotto certi punti di vista inattesa. Viste le premesse giovanili, mantenute solo parzialmente. Ed un prosieguo di carriera caratterizzato da esaltanti momenti, tesi a sottolinearne le qualità negli ultimi sedici metri. A improvvise cadute nella polvere. Fulminee quanto fragorose.
Indubbiamente, con gli anni, Destro si è progressivamente trasformato in qualcosa d’altro, rispetto all’offensive player completo degli esordi. Quando sfruttava velocità e tecnica di base, per aggredire gli spazi in profondità e poi finalizzare. Piuttosto che accorciare in zona palla, contribuendo alla costruzione della manovra.
Oggi ha decisamente circoscritto il raggio d’azione. Si muove esclusivamente in zona porta. Un centravanti essenziale, dunque, bravo a rubare il tempo ai centrali avversari e trovare lo spazio per battere a rete.
Gianluca Scamacca, il predestinato
Paradossalmente, al ritorno in auge di Destro ha fatto da contraltare l’accantonamento di Gianluca Scamacca.
Tra i più interessanti prospetti in circolazione, per caratteristiche tecnico-tattiche, nel ristretto novero degli attaccanti di ultima generazione.
Un talentuoso, che ruba gli occhi per eleganza ed elasticità. Continuamente accostato a Top Player conclamati, tipo Ibrahimovic o Dzeko.
Morfologicamente, assomiglia davvero in maniera impressionante allo svedese. Un’etichetta ambiziosa, che forse gli ha creato un surplus di problemi. Invece di facilitarne la definitiva esplosione ai massimi livelli.
Specialmente alla luce dei numeri tutt’altro che sostanziosi in termini di efficienza realizzativa.
Per attitudine a lavorare lontano dall’area e sugli esterni, Scamacca potrebbe assomigliare maggiormente al capitano della Roma. Perché, nonostante la fisicità preponderante lo identifichi come un classico “posizionale” da area, è un centravanti atipico.
Assai dinamico. Capace di destreggiarsi sulla trequarti e creare per i compagni. Ballardini, attualmente, gli preferisce risorse dalla maggiore esperienza. Appunto, come Destro. Nonché, abili nella pressione, così da rendere difficoltosa la giocata alle fonti di produzione dell’avversario, come Shomurodov.
Ma il fatto che al mercato di gennaio la Juventus ha cercato ossessivamente di comprarlo, la dice lunga sul valore assoluto di questo giovane rampante.
Francesco Infranca