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Il calcio è raramente, se non mai, scevro da implicazioni politiche. Se non fosse stato per il crollo del comunismo nel 1989, la carriera di Pavel Nedvěd avrebbe probabilmente seguito la traiettoria di un altro iconico calciatore ceco: Josef Masopust.

Finalista ai Mondiali e vincitore del Pallone d’Oro nel 1962, Masopust è considerato il più grande calciatore cecoslovacco di tutti i tempi. Avrebbe potuto giocare per una qualsiasi delle migliori squadre d’Europa, ma gli è stato impedito dalla leadership comunista della Cecoslovacchia. Un po’ come successe a Eusebio, al quale il regime di Salazar impedì di trasferirsi in Italia, all’Inter o alla Juve.

Tuttavia, con la disintegrazione della Repubblica Socialista Cecoslovacca nel 1993, una nuova generazione di calciatori cecoslovacchi ha avuto l’opportunità di mostrare il proprio talento sui più grandi palcoscenici europei. Questo è stato il momento perfetto per un 21enne Nedvěd, che ha iniziato a costruire la sua reputazione come il più grande giocatore della storia della giovane Repubblica. Colui che è diventato celebre come la “Furia Ceca”.

Da ragazzo, Nedvěd si è allenato assiduamente, imparando a diventare praticamente ambidestro e facendo in modo che, fisicamente, potesse avere la meglio su qualsiasi avversario in campo. Eppure quando il ragazzo si trasferì allo Sparta Praga nel 1992, il suo enorme potenziale non era ancora chiaro ai più. Infatti, in un articolo di giornale di Karol Dobiaš – membro della squadra cecoslovacca che conquistò il Campionato Europeo del 1976 – Nedvěd fu descritto come un ragazzo senza “nessun futuro”.

Quattro anni dopo, con lo Sparta e tre titoli di campionato in bacheca, Dobiaš fu criticato per il suo pronostico. Nei suoi anni allo Sparta, i compagni di squadra di Nedvěd lo prendevano in giro per le sue abitudini di allenamento. Quel ragazzo che ancora non aveva la folta chioma bionda si allenava ben oltre l’orario previsto per la squadra. “Hai tutto quello che ti serve”, dicevano, “un ottimo stipendio, una casa, una bella macchina… chi te lo fa fare? La risposta fu ‘Nessuno, tranne se stesso’. Per Nedvěd c’erano sempre nuove strade, che decise si percorrere su un suolo straniero. Euro ’96 ha rappresentato la ribalta che ha fatto conoscere al mondo quel giovane ceco dai capelli biondi. Nedvěd era la dinamo di centrocampo di una squadra di talento come la Repubblica Ceca, che vantava personaggi del calibro di Patrik Berger e Karel Poborský. Il percorso fino alla finale, e in particolare la performance di Nedvěd in semifinale contro la Francia, è stato forse il suo momento di coronamento con la nazionale.

Queste prestazioni gli valsero il passaggio in Serie A, dove scelse di trasferirsi alla Lazio di Zdeněk Zeman. Giocando in quello che all’epoca era il campionato più competitivo d’Europa, il ceco si è catapultato alla grande tra le stelle del calcio mondiale. La sua grinta e la sua tenacia lo fecero diventare un beniamino dei suoi sostenitori e divenne un calciatore temutissimo dagli avversari. Ma a questa verve si aggiungevano anche la qualità e la furbizia.

La versatilità di Nedvěd gli ha permesso di ricoprire varie posizioni sulla trequarti. Dall’ala poteva mettere in mezzo cross o tagliare all’interno e scatenare bordate violentissime con entrambi i piedi. Al centro era dotato di visione, compostezza e raggio d’azione per condurre il gioco, ma aveva era dotato anche del passo necessario per fare incursioni in area di rigore. Era un supremo tuttocampista – un “fante” di tutti i mestieri del centrocampo. Dopo cinque anni di trofei con la Lazio, tra cui due Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea e solo il secondo scudetto nella storia del club, il campione ceco si trasferì in uno dei club più importanti d’Europa, la Juventus.

Tale era lo status di culto guadagnatosi da Nedvěd, i tifosi protestarono con veemenza contro il suo trasferimento. E alla Juventus il calciatore ceco entrò ancor più nel cuore dei tifosi e si rese protagonista del salto di qualità definitivo. A Torino la sua eredità trascende i trofei e le prestazioni di altissimo livello che ha regalato. Anche se i traguardi hanno fatto sì che Nedvěd vincesse il Pallone d’oro nel 2003, l’eredità di Nedvěd appartiene al personaggio, oltre che al giocatore, e la dedizione, la fame di vittoria e la lealtà per le squadre per cui ha giocato rappresentano la base del suo modo di essere

Dopo aver vinto quattro scudetti di fila e aver raggiunto la finale di Champions League nel 2003 (non disputata per la nota beffardissima squalifica), questa lealtà è stata fondamentale per la sua permanenza a Torino, nonostante la retrocessione in serie B a seguito dello scandalo di Calciopoli del 2006. Dopo aver aiutato i bianconeri a tornare in Serie A, è rimasto per altri tre anni, contribuendo a guidare la Juve verso una nuova era di dominio. Per questo, lo status di Nedvěd tra i tifosi juventini è intoccabile.

Come dovrebbe essere giudicato Nedvěd rispetto agli altri calciatori cechi contemporanei? Certo, Petr Čech, Tomáš Rosický, Milan Baroš e Karel Poborský hanno tutti giocato più partite per la Repubblica Ceca e hanno avuto un impatto notevole all’estero. Inoltre, se fosse tornato in Repubblica Ceca per chiudere la sua carriera, come i suoi connazionali Rosický, Baroš e Poborský, forse il suo status di più grande della nazione sarebbe inconfutabile sia come calciatore ceco sia come cecoslovacco.

Ma nessuno dei suddetti giocatori evoca lo stesso vivido immaginario di Pavel nel suo massimo splendore. La Furia Ceca con uno spirito guerriero, un piede destro eccezionale come il suo sinistro, e un incrollabile desiderio di successo, sbaraglia oggettivamente la concorrenza nazionale agli occhi di un osservatore obiettivo. Tantomeno i succitati calciatori hanno eguagliato Nedvěd nel diventare il primo giocatore ceco dopo Josef Masopust a vincere il Pallone d’Oro. In virtù di ciò, Pavel Nedvěd deve diventare l’impareggiabile e l’indiscutibile icona del calcio ceco moderno.