Con un semplice sguardo a qualsiasi giornale o scorrendo le notizie sulle app, non è così difficile rendersi conto dell’importanza delle percentuali e dei dati numerici attuali. In un mondo terribilmente colpito da una pandemia globale di COVID-19, i numeri rappresentano un indicatore affidabile della situazione in ogni continente, regione, città o anche città più piccole.
Tra questi dati, naturalmente, ci sono quelli dell’industria del calcio professionistico, che non poteva sfuggire al disastro economico ancora imprevedibile che sta causando la crisi. La maggior parte degli specialisti parla di un calcio irriconoscibile, uno sport la cui versione moderna non sarà riconoscibile per un periodo di tempo considerevole.
A conferma delle previsioni dei critici del calcio moderno, gli effetti devastanti del COVID-19 hanno già messo in luce in modo improvviso e un po’ crudo le debolezze dell’industria che da decenni è stata alimentata principalmente dall’ambizione di dirigenti avidi. La maggior parte dei campionati europei ha incontrato numerosi ostacoli nel riprendere la propria attività sportiva ed economica, mentre i contratti gonfiati delle emittenti televisive devono essere onorati in assenza di ricavi da partite che non possono essere compensati.
Con gli effetti a breve termine di questa pandemia che si è abbattuta come un ciclone su tutti i settori, la più importante competizione calcistica del mondo, il Mondiale di Qatar 2022, che prenderà il via esattamente tra due anni, il 18 dicembre 2022, è ancora in fase di preparazione a ritmo frenetico.
Il Mondiale di calcio del 2022 è sotto i riflettori dal giorno in cui è stato annunciata l’assegnazione al Qatar. Questa alterazione senza precedenti nel già fitto calendario calcistico della stagione in questione per rendere il torneo un evento invernale, o la recente incriminazione del Dipartimento di giustizia statunitense per presunta corruzione di tre funzionari prima delle elezioni decisive, sono solo due degli elementi rilevanti in un contesto sospettosamente annebbiato.
La proprietà del PSG è stata coinvolta in tanti scandali, sui quali hanno fatto luce il Times e France Football. Al-Khelaifi è stato accusato di corruzione, tra gli altri casi nell’ambito di quello che ha portato all’arresto di Michel Platini. Senza dimenticare gli accordi segreti con la UEFA e l’operazione Neymar, finanziata, in barba al FPF, proprio per avere un volano per i mondiali del 2022.
Il progetto degli stadi della Coppa del Mondo di calcio rimane di primaria importanza per l’economia di uno dei Paesi più ricchi del Golfo, nonostante il blocco universale causato dalla pandemia di coronavirus. Ed è così che nasce uno degli squilibri umanitari più sconvolgenti dell’attualità.
Per rispettare le tempistiche per il completamento degli stadi, di progetti architettonici di dimensioni mastodontiche, si sono perse e si perderanno tantissime vite umane. Parliamo di lavoratori migranti, provenienti lo più dal sud-est asiatico e dai Paesi dell’Africa orientale. Le associazioni umanitarie hanno già condannato in molte occasioni le condizioni proibitive che molti di loro devono affrontare quotidianamente, spesso vittima di incidenti sul lavoro o addirittura “morti improvvise” per insufficienza cardiaca, mascherate dalle autorità come morti naturali. Basti pensare che le aziende hanno preparato dei fondi per risarcire le famiglie dei lavoratori morti nella costruzione di questi stadi, come se fossero dei freddi numeri.

Gli stessi lavoratori, che in piena estate possono essere esposti a temperature soffocanti per più di dieci ore al giorno e dormire in container claustrofobici con altri colleghi, si trovano ora ad affrontare un pericolo invisibile, un virus che non discrimina in alcun modo. D’altronde, anche gli impegni del governo del Qatar, che dovrebbero garantire una serie di misure a favore di questo gruppo vulnerabile, si stanno rivelando tutt’altro che convincenti.
«Stiamo parlando di uno degli scandali più disgustosi della storia dello sport: lo sappiamo e lo vedremo ancora».
Lo scorso gennaio, il Qatar ha proceduto ad abolire la Kafala, una legge comune in Medio Oriente che rendeva obbligatorio per i datori di lavoro permettere ai propri lavoratori stranieri di lasciare il Paese o di cercare liberamente un altro impiego, dopo anni di pressioni da parte dei movimenti sociali. Scrive Tiziana Tomeo in Comparazione e diritto civile: «La Kafala è un istituto giuridico del diritto islamico attraverso il quale un giudice affida la protezione e la cura di un minore (makfoul) ad un soggetto (kafil); quest’ultimo, nella maggioranza dei casi rappresenta un parente che curerà la crescita e l’istruzione del minore (privato temporaneamente o stabilmente del proprio ambiente familiare), pur non creando alcun legame parentale tra gli stessi e senza rescindere il vincolo di sangue del minore con la famiglia d’origine».
Essendo uno dei Paesi con il maggior numero di infezioni per abitante, lo stato che ospita i Mondiali di calcio ha accompagnato il cambiamento di questa legislazione, con misure che obbligano tutte le aziende a proteggere gli immigrati, garantendo loro vitto o alloggio, anche se il loro contratto è stato sospeso o rescisso a causa della crisi.

Purtroppo, le dichiarazioni delle persone direttamente interessate rappresentano un’ulteriore prova di un contesto del tutto precario. Mentre le loro famiglie sparse per il mondo attendono il loro aiuto per sopravvivere alla dura realtà dei rispettivi Paesi, i lavoratori sono intrappolati in un ambiente ostile, senza cibo e attrezzature mediche sufficienti. Molti di loro hanno addirittura dovuto affrontare una detenzione inaspettata e una quarantena forzata, che ha portato alla loro deportazione illegale nel loro Stato di origine.
Nella sua ultima dichiarazione, il direttore esecutivo di Qatar 2022, Hassan Al-Thawadi, sottolinea l’unica possibilità per l’organizzazione di fungere da collegamento globale nell’era post-COVID. Tuttavia, in questo momento sembra che questa Coppa del Mondo non solo non accorci, ma allarghi ancor più il divario tra chi sgobba con piccone e pala e chi si godrà in vari modi il più grande evento calcistico. Idee che possono sembrare magnifiche nella ricerca di un futuro ecosostenibile, come un evento senza emissioni di CO2, danno l’impressione di una falsa vetrina, di un trucco a buon mercato per salvare la dignità di questa organizzazione.
D’altronde, nemmeno le accuse di corruzione mosse alla FIFA per la designazione di Qatar 2022 possono essere paragonate, in termini di gravità, alla violazione dei diritti umani nei confronti di persone che devono subire un’odissea di sofferenza solo per sopravvivere e prendersi cura delle proprie famiglie.

Tornando ai dati che ci ricollegano così tanto alla dura realtà mondiale, in base ai punti di vista di ogni opinione, sarebbe interessante raccoglierne una serie come ricordo del calcio precedente alla pandemia. Quanti fiumi di inchiostro sono stati spesi a parlare dell’esorbitante trasferimento di Neymar al PSG, quante bottiglie di birra sono state consumate durante le conversazioni sull’uso del VAR e quante manifestazioni intrise di finto perbenismo sono state lanciate dalla FIFA nella famosa campagna “Say no to racism”…
La stessa FIFA che chiude due occhi al cospetto dello sfruttamento e del razzismo nei confronti dei lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi per i Mondiali.
Come può piacere questo lato del nostro calcio? Il giornalista Pepe Rodríguez riassume il disastro sportivo, e soprattutto umanitario, della Coppa del Mondo 2022 in un interessante colloquio con Javier Aznar: «Stiamo parlando di uno degli scandali più disgustosi della storia dello sport: lo sappiamo e lo vedremo ancora». Coloro che amano questo sport staranno bramando per poter vedere Messi e CR7 in quella che sarà probabilmente la loro ultima esibizione in un Mondiale, ma purtroppo dietro Qatar 2022 si cela tanto altro: un vero e proprio mondiale insanguinato.
Vincenzo Di Maso

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione