Quando Margaret Roberts nacque nel 1925 a Grantham nel Lincolnshire, il Regno Unito si stava riprendendo dal primo conflitto mondiale, costato parecchio in termini di vite umane e aveva messo in ginocchio la sua economia. Un momento in cui anche il football riprendeva e consolidava il suo ruolo ormai centrale nella società britannica.
Nessuno si sarebbe aspettato che quella giovane donna, laureatasi in chimica ad Oxford, avrebbe cambiato in maniera radicale sia la Gran Bretagna sia il suo sport più rappresentativo. Da sempre impegnata in politica fin dalla giovane età, Margaret crebbe in una famiglia dai solidi principi religiosi.
Il padre gestiva una drogheria, autentico punto di riferimento per la piccola comunità locale e proprio da lui apprese quelli che sarebbero diventati i principi fondamentali della sua politica. Sempre rispettosa delle regole che il padre le aveva dato, riteneva proprio la figura paterna un suo grande punto di riferimento e un esempio.
Da lui apprese soprattutto il senso di risparmio e di austerità, grazie alla gestione della drogheria in maniera talmente oculata da riuscire, nonostante le ristrettezze della Seconda guerra mondiale, ad aprirne una seconda. Margaret ben presto capì che la sua strada non era lavorare presso la BX Platics, un’industria di ingegneria di materiali plastici, ma la politica.
Entrò nel partito conservatore nel 1950 e l’anno dopo conobbe, proprio all’interno del partito, il suo futuro marito Denis Thatcher.
Una vera e propria scalata la sua. Dopo il 1970 e la vittoria di Edward Heath, Margaret divenne Ministro dell’Istruzione, e proprio qui iniziò a sperimentare la sua politica fatta di austerità, che le fece aumentare la sua posizione all’interno del partito. Nel 1975 divenne la prima donna alla guida del partito conservatore. Il Regno Unito invece era ripiombato nuovamente in una profonda crisi economica e la politica sembrava non riuscire ad arginare il lento declino della nazione.
Il 4 maggio del 1979, dopo una trionfale campagna elettorale, riuscì a battere il candidato laburista James Callaghan e a diventare la prima donna Prima Ministro nella storia della Gran Bretagna. La sua politica fu incentrata sul controllo monetario, i tagli alle tasse e alla spesa sociale, le privatizzazioni e una maggior flessibilità nel mercato del lavoro. Un nuovo modo di vedere il ruolo dello Stato, che avrebbe portato ad una politica meno propensa alle esigenze delle classi meno abbienti.
Il sistema di Welfare State, che dal dopoguerra era stato protagonista della politica britannica, fu subito colpita duramente dalla nuova politica thatcheriana. L’obiettivo era una profonda ristrutturazione dell’apparato statale, introducendo meccanismi di assistenza che fossero in linea con la nuova filosofia liberista, vero cavallo di battaglia della Lady di Ferro.
Immediatamente venne riformato il sistema pensionistico, e le indennità di disoccupazione, le università subirono tagli drastici, così come il sistema sanitario nazionale, giudicato troppo dispersivo, a causa di un’eccessiva burocrazia e non più capace di garantire gli stessi standard di servizio in tutto il Paese. Il football inizialmente non sembrava essere interessato da nessuna riforma thatcheriana. Sicuramente al Primo Ministro questo sport non era mai piaciuto, giudicato non in linea con i suoi ideali di società, ma si stava avviando verso un periodo di profondi cambiamenti.
La violenza dei tifosi, che fino a quel momento era ancora marginale, sarebbe emersa con tutta la sua prepotenza, complice anche una società che in breve tempo aveva visto cambiare radicalmente la sua natura, portando a grandi divari di classe e a un diffuso malcontento. Gli alti tassi di disoccupazione portarono le persone lontano dagli stadi e dal calcio, mentre il football britannico doveva fare i conti con l’arrivo di primi giocatori provenienti dall’estero.
Un fenomeno che era iniziato alla fine degli anni Settanta, grazie anche all’annullamento da parte della Football Association del precedente divieto, a seguito della decisione della commissione europea di garantire il libero movimento dei calciatori in quanto ormai considerati dei lavoratori a tutti gli effetti. Questo fu il punto di partenza per l’arrivo in terra d’Albione di vari giocatori provenienti sia dall’Europa che dal Sudamerica.
La prima squadra ad annoverare tra le sue fila due giocatori non britannici fu l’Ipswich Town, ma i veri protagonisti di quegli anni furono il duo argentino del Tottenham Ardiles/Villa, che portarono nel nord di Londra nuovi successi. Gli Spurs in quegli anni erano guidati in panchina da Keith Burkinshaw, dalla stagione 1976/77 saldamente sulla panchina, nonostante la retrocessione in Secon Division patita nella sua prima stagione.
A pochi giorni dalla conclusione del mondiale argentino, il manager degli Spurs venne contattato da Bill Nicholson, storico allenatore che aveva portato il club del nord di Londra ai vertici del football britannico e continentale, riuscendo dalla metà degli anni Sessanta a costruire il Tottenham più grande di sempre, una volta dimessosi nel 1974 era comunque rimasto in buoni rapporti con la società. Nicholson fu contattato da Oscar Arce, osservatore argentino che gli comunicò la volontà di Osvaldo Ardiles, neocampione del mondo con la sua nazionale, di venire a giocare in Europa.
Nicholson non se lo fece ripetere due volte, e una volta convinto anche Burkinshaw, volarono entrambi in Argentina per concludere rapidamente la trattativa, l’unica clausola fu l’acquisto del suo amico e compagno di stanza Ricardo Villa. Nonostante si fosse fatto di tutto per tenere segreta la trattativa, una volta ufficializzata fece subito scalpore. Mai nessuna squadra neopromossa era riuscita a mettere sotto contratto due neocampioni del mondo.
L’impatto con il nuovo calcio fu difficile, ci vollero mesi perché i due si adattassero a un nuovo modo di giocare, completamente diverso da quello Sudamericano. Le loro prime due stagioni furono mediocri ma all’inizio della stagione 1980/1981 qualcosa iniziò a cambiare. Il Tottenham di Burkinshaw inizia ad imporre un nuovo stile di gioco, più familiare alle caratteristiche del duo argentino, che inizia a portare i suoi frutti.
La Fa Cup conquistata proprio in quella stagione con una prodezza di Villa in finale fu la vera consacrazione di questa squadra. Era ormai giunta l’ora per la compagine del nord di Londra di competere su tre fronti, provando anche la rincorsa alla Coppa delle Coppe. In un momento di grande forma per gli Spurs, nella primavera del 1982 iniziò un conflitto che di logico aveva ben poco. Le Isola Falkland, in spagnolo Malvinas, sono un arcipelago al largo della costa argentina di proprietà della Corona britannica, scarsamente popolato, inospitale e poco considerato dal popolo argentino stesso.
L’allora dittatura militare decide, per distrarre l’opinione pubblica, di iniziare una guerra, cavalcando l’onda del nazionalismo e dello spirito patriottico. Dall’altra parte la Gran Bretagna attraversava un momento particolare, le riforme thatcheriane non stavano dando i risultati sperati e la disoccupazione cresceva a livelli vertiginosi. Allo stesso tempo la Thatcher decise di sfruttare l’occasione per riacquistare consenso e riportare la Gran Bretagna protagonista nella scena internazionale.
La guerra durò 74 giorni, tra marzo e maggio, all’invasione argentina dell’isola la Lady di Ferro decide di rispondere con il pugno duro superando i timori del suo stesso esecutivo su una guerra inutile e dannosa. L’eco di quello che stava accadendo arrivò anche nel football: quelli che erano diventati idoli della tifoseria degli Spurs durante la semifinale di FA Cup contro il Leicester, vennero letteralmente sommersi di fischi ed insulti provenienti anche dalla loro stessa tifoseria.
Un clima veramente teso e inaspettato, che spinse i due al termine della partita a lasciare Londra in fretta e furia. Paradossalmente si trovarono ad essere odiati in Inghilterra e traditori in patria, una situazione davvero surreale, ma la guerra continuò e toccò da vicino proprio Ardiles, che perse il cugino pilota dell’aviazione argentina, abbattuto da una nave da guerra britannica.
La fine vedrà il trionfo della Gran Bretagna, ma soprattutto della Thatcher, che da quel successo troverà vigore e fiducia per continuare a portare avanti il suo progetto di riforme. Il duo argentino farà rientro a Londra qualche anno dopo, ma le ferite di quella guerra difficilmente furono risanabili nel breve periodo.
Nel frattempo, il Primo Ministro, sulle ali della vittoria, si apprestava ad affrontare le sue tre più grandi sfide politiche: la questione nordirlandese, la grande battaglia contro i sindacati e gli hooligans.
La questione nordirlandese era rimasta ancora irrisolta. Dal 1979 gli attentati dell’IRA erano aumentati, colpendo anche personaggi illustri come Lord Mountbatten, cugino della regina e membro di spicco della famiglia reale. Nel 1984 la stessa Thatcher fu coinvolta, quando una bomba scoppiò nell’hotel di Brighton dove si stava tenendo il congresso del partito conservatore.
La prima risposta fu un inasprimento delle pene per i reati contro il terrorismo, senza però sortire alcun effetto. Il numero delle vittime di entrambi gli schieramenti, infatti, non sembrava voler diminuire e, nonostante il suo chiaro intento unionista, il Primo Ministro decise di percorrere la strada della mediazione politica, che nel 1985 portò alla firma dell’Anglo-Irish Agreement.
La reazione della comunità nordirlandese fu durissima e le azioni violente dell’IRA non si placarono, tuttavia vennero gettate le basi per un futuro percorso di pace, nonostante la strada sembrasse ancora molto lontana.
Molto più difficile, invece, fu la battaglia che venne intrapresa per indebolire il potere dei sindacati e la loro influenza. Questi, infatti continuavano a opporsi alla privatizzazione dei settori strategici dell’economia britannica e al nuovo piano di rilancio industriale.
Il 12 marzo 1984 Arthur Scargill, presidente del sindacato minatori, annunciò lo sciopero a causa della chiusura di venti stabilimenti estrattivi, giudicati antieconomici dall’ente nazionale per il carbone. Per l’opinione pubblica, compresi i minatori, la proclamazione dell’ennesimo sciopero non sembrava altro che l’inizio di una normale vertenza sindacale destinata a trovare una soluzione di compromesso tra le parti. Lo stesso Scargill, sostenuto da buona parte dei lavoratori, come i ferrovieri e i portuali.
Le trattative finirono ben presto in un muro contro muro. La ferma volontà della Thatcher era quella di non scendere a patti con il sindacato, trattandosi per lei di una guerra in difesa delle istituzioni nazionali, arrivando a definire i minatori una vera e propria “minaccia interna”.
Dal canto loro i lavoratori del comparto minerario si trovarono immediatamente senza stipendio e il solo sussidio non bastava per coprire tutte le spese familiari e l’inverno portò i primi malumori.
Nonostante il governo si fosse tutelato, iniziando a importare carbone dall’estero, molti cittadini trovarono comunque delle difficoltà nel riscaldare le loro case. La situazione era delicata, le violenze nei picchetti iniziarono ad essere all’ordine del giorno e la tensione si faceva sempre più alta. Il sindacato dei minatori aveva ormai perso l’appoggio degli altri sindacati e la Thatcher rimaneva ancorata alle sue posizioni, Scargill sembrava sempre più in bilico, accusato di cattiva gestione.
Molti lavoratori, ormai stanchi del protrarsi di questa situazione di stallo, cominciarono a disertare gli scioperi e a tornare al lavoro. Si creò ben presto una vera e propria frattura tra gli stessi lavoratori, le stesse famiglie si trovarono divise, padri e figli avevano posizioni diverse tra chi voleva continuare questo sciopero e chi, ormai stanco, decideva di rientrare al lavoro.
La vittoria della Thatcher, anche in questa occasione, si tradusse in una conferma elettorale e portò lo storico sindacato dei minatori a fare i conti con un abbandono di massa da parte dei suoi iscritti.
Questo sciopero segnò uno spartiacque nella vita politica e nella società britannica, la vita e il costume del Regno Unito erano cambiati radicalmente e questo non fece altro che inasprire ancora di più il clima di violenza che attendeva solo la minaccia per esplodere.
La violenza invase immediatamente lo sport più popolare della Gran Bretagna, il fenomeno hooligans sotto la gestione thatcheriana, anche se inizialmente la stessa Lady di Ferro sembrò non dar peso al problema perché impegnata in altre questioni.
Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, durante la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, andò in scena una delle tragedie calcistiche peggiori della storia. Il problema non poteva più essere ignorato, fu il momento in cui la Thatcher, forte dei successi ottenuti fino ad allora, ingaggiò una vera e propria guerra contro il tifo violento.
Venne scelta la via della repressione dura, attraverso la militarizzazione degli stadi e l’uso di strumenti di contenimento come le barriere artificiali e l’impiego di un ingente numero di forze dell’ordine. Una soluzione tuttavia che si rivelò efficace solo nel breve periodo. L’anno successivo, nel marzo del 1986, la strategia thatcheriana passò ad un nuovo livello, andò in scena una delle più famose operazioni di polizia contro gli hooligans nella città di Londra, che portò a numerosi arresti tra le frange del tifo più violente, il tutto ripreso dalla BBC che aggiornava costantemente sugli sviluppi.
La spettacolarizzazione dell’operazione servì solamente a rassicurare l’opinione pubblica, mostrando come il governo avesse la situazione sotto controllo. I reali risultati furono nuovamente scadenti, molti processi finirono in prescrizione o con condanne minime. Era però passato il messaggio di tolleranza zero verso qualsiasi forma di violenza e non passò molto tempo prima che questo si tramutasse in una serie di riforme legislative che fecero immediatamente capire come, arrivati a questo punto, ormai si dovesse fare sul serio.
A partire dal 1985 e per i quattro anni successivi vennero emanate un grande numero di leggi che avrebbero modificato il modo di vivere e assistere al football: si limitò il consumo degli alcolici, prima, dopo e durante, venne vietato l’ingresso a soggetti già condannati per atti violenti sia all’interno che all’esterno degli impianti, ci fu un inasprimento delle pene per qualsiasi forma di violenza anche verbale e a sfondo razzista.
La violenza non sembrò placarsi: nel 1988, all’indomani dei Campionati Europei tenutisi in Germania, si assistette nuovamente a gravi episodi di violenza provocati dai supporters inglesi. La Thatcher, per rispondere nuovamente a questi eventi, introdusse delle carte d’identità obbligatorie per qualsiasi persona volesse accedere allo stadio, in modo da riuscire ad avere un controllo ancora maggiore.
Con questa ultima introduzione, ci furono gli effetti sperati dal governo, ma non si riuscì ad evitare quella che fu la peggiore tragedia che colpì il football nel suolo britannico.
Il 15 aprile 1989 durante la finale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest l’Hillsborough Stadium di Sheffield morirono schiacciati contro la Lepping Lane End 96 tifosi dei Reds mentre i feriti furono più di 150. Immediatamente la stampa e l’opinione pubblico accusarono la violenza hooligans per l’ennesima tragedia ma in questo caso le colpe furono altre, la disorganizzazione del servizio d’ordine e le pessime condizioni dell’impianto furono la vera causa. Le immediate campagne accusatorie contro il tifo violento mostrarono come ormai l’opinione pubblica li vedesse come il male assoluto, cercando spesso un pretesto per incolparli anche quando oggettivamente le colpe erano di altri. Gli stessi dirigenti delle forze dell’ordine, all’indomani della tragedia, mossero false accuse contro i tifosi, cercando di distorcere la realtà e influenzare l’esito delle indagini. Lo stesso governo thatcheriano strumentalizzò la vicenda, incolpando i tifosi del Liverpool, che dopo i fatti di Bruxelles, erano il bersaglio ideale per ricordare all’opinione pubblica come l’esecutivo volesse a tutti modi sconfiggere la violenza nel football. Il paese era sotto shock così come la comunità di Liverpool che si vide etichettata come città violenta e piena di ubriaconi, una comunità fondata sui valori della working-class alla quale la nuova politica thatcheriana aveva inferto il definitivo colpo di grazia. La parabola discendente del suo porto, una volta centro nevralgico per l’economia del nord dell’Inghilterra, attraversava una profonda crisi economica con migliaia di lavoratori disoccupati.
La reazione politica alla tragedia di Hillsborough non si fece attendere, venne aperta immediatamente un’inchiesta, presieduta dal giudice dell’Alta Corte, Lord Peter Taylor of Gosforth. Il giudice si mise subito al lavoro e redasse due relazioni: la prima datata agosto 1989 e la seconda del gennaio 1990, che avrebbe rappresentato il vero punto di svolta per il football.
Il Taylor Report racchiudeva in vari punti tutte le modifiche necessarie affinché, in primis, non accadessero più tragedie come quella di Sheffield. Per prima cosa, era necessario che tutti gli impianti sportivi fossero assolutamente rimodernati: le loro condizioni fatiscenti favorivano il clima di violenza che si sviluppava al loro interno e non garantiva per questo. un’adeguata sicurezza.
Nel processo di ammodernamento si sarebbero dovuti eliminare i posti in piedi delle famose terraces in favore di quelli a sedere. Il report andava anche a criticare fortemente il comportamento tenuto negli anni sia dalla FA che dai club, e denunciava come la strategia della repressione non avrebbe mai portato a nessun risultato. Il rapporto tra polizia e tifosi, che negli anni si era deteriorato, andava profondamente rivisto.
Per far questo, venne sottolineato come la maggioranza dei tifosi in realtà fosse pacifica e come ci fosse bisogno di attaccare solo la minoranza violenta. Andava ricreato un rapporto sinergico tra le società calcistiche e i propri supporter, mantenendo i biglietti ad un prezzo popolare e perseguendo ogni forma di bagarinaggio.
Il Taylor Report arrivò immediatamente sul tavolo del governo Thatcher, il quale approvò senza indugio un ingente pacchetto di finanziamenti per la ristrutturazione degli stadi, istituendo una serie di enti per la certificazione e il controllo degli impianti. Il football era entrato ufficialmente in una nuova era.
Margaret Thatcher era riuscita a cambiare in maniera radicale non solo la società britannica ma anche il football, il 22 novembre 1990 dopo una crisi politica che la vide protagonista, rassegnò le sue dimissioni. Era ufficialmente finita un’epoca, segnata dal rigore e dall’austerità, dal ritorno della Gran Bretagna sulla scena internazionale e dalle numerose lotte sociali interne, dall’IRA allo sciopero dei minatori.
La Lady di Ferro ha avuto un impatto nella vita dei sudditi di sua maestà come mai nessun Primo Ministro prima di lei, una donna capace di segnare un’epoca rimanendo sempre fedele ai suoi ideali, nel bene o nel male ancora oggi la sua influenza ha ripercussioni nella vita economica e politica del Regno Unito.
Il football negli anni del thatcherismo ha visto grandi trionfi ma anche periodi di profonda crisi, dal 1985 al 1989 ha vissuto momenti drammatici che però coincisero con un forte impulso verso il cambiamento. In realtà le misure messe in campo negli anni dal governo Thatcher portarono solo allo snaturamento dell’essenza stessa del gioco e soprattutto alla cultura del tifo.
Fu persa un importante occasione per il football per ripartire e ritornare alle origini gettando le basi per quello che non sarebbe più stato il “people’s game”.
Antonio Marchese