Ventiquattro anni fa moriva Giuliano Giuliani, il portiere più vincente e sfortunato della storia del Napoli. Giuliani vinse con il Napoli la Coppa Uefa nel 1989 e un anno dopo l’ultimo scudetto azzurro.
Eppure sul suo nome pare essere calata una coltre di silenzio: perfino nel profondo web è difficile reperire materiale sul giocatore.
C’è materiale a iosa sull’altro portiere scudettato nella storia del Napoli, quel Claudio Garella, così spesso rievocato, per così dire, da un punto di vista stilistico.
E tutto ciò per le cause della morte del giocatore,spirato perché pare ormai stremato dall’AIDS, perdendo come molti negli anni’80 e’90, la battaglia con il morbo, prima che il progresso nel campo della medicina desse prospettive di vita più o meno normale alle persone che contraevano il virus dell’HIV.
Erano anni in cui si parlava di tale problema così:
Erano gli anni di Philadelphia con Tom Hanks, della morte di Freddie Mercury.
Erano anni in cui si parlava molto del problema AIDS rispetto ad oggi in cui vi è un’informazione molto carente, ma di pari passo con le campagne di prevenzione si riscontrava una demonizzazione di tutte le persone sieropositive e tabù sfatati nel corso degli anni, su contagi improbabili anche con baci e strette di mano.
In quel periodo non era infrequente assistere a serie televisive in cui i protagonisti si imbattevano in un episodio in una persona sieropositiva, con la musica in sottofondo che ne sottolineava drammaticamente le scene in cui interagivano con “il malato”.In un episodio de “I ragazzi del muretto” un ragazzo viene abbracciato da uno studente sieropositivo rimanendo impietrito, con i genitori della scuola che erano insorti appena scoperta la sieropositività.
Una malattia da drogati,omosessuali,prostitute era il retropensiero dell’epoca.
In questo clima culturale è morto il portiere del Napoli ma ventidue anni sembrano passati invano.
Il Napoli attuale fatica a ricordarsene, le trasmissioni televisive e i giornali di oggi sembrano non aver dedicato nessun spazio al portiere.
Giuliani era forte.
Non era un fuoriclasse,come potrebbe essere semplice affermare nell’indulgenza post mortem ma era un buon portiere.
Non era sgraziato come Garella, soccombeva mediaticamente rispetto ad autentici figli di buona donna come Zenga e Tacconi ma aveva stile e nelle giornate di buona vena, sapeva essere decisivo.
Nacque a Roma, visse i suoi primi tre anni in Germania, fino a quando si trasferì ad Arezzo, da alcuni zii, mentre i genitori tentavano di sbarcare il lunario.
A quattordici anni, entrò a far parte di una squadretta locale, il Gabos e bruciò le tappe iniziando centravanti ma finendo in porta e scalando in vari mesi le varie categorie, iniziando dai Giovanissimi e trovandosi in Terza categoria.
Lo cercò il Toro ma gli zii si opposero.
Poco male, in quanto si fece vivo l’Arezzo e a quindici anni Giuliani si trovò a vestire la maglia aretina.
Qui ebbe come maestro un ex portiere, Mario Rossi e nel torneo 76/77 complice la difficile situazione economica della società toscana, esordì in serie C.
L’allenatore era Dino Ballacci, l’esordio fu sfortunato per i granata, sconfitti a Reggio Calabria ma la sorte fu benevola con il nostro.
Complice l’infortunio dei due portieri più anziani, Giacinti e Mariutti, Giuliani nel torneo successivo ebbe più spazio e nel torneo 79/80 finalmente conquistò a venti anni i galloni di titolare con il neo tecnico Cucchi.
In trenta gare, Giuliani subisce solo 15 reti, gli aretini sfiorano la promozione e il nome del portiere circola prepotentemente tra gli addetti ai lavori.
Se lo aggiudica il Como e Giuliani trova presto l’esordio in A,per l’infortunio del titolare Vecchi su un palcoscenico da far tremare le gambe: il Comunale di Torino contro i granata che ancora annoverano tra le proprie fila Pulici, Graziani e Claudio Sala.
La partita finisce 1 a 1 e Giuliani sul goal subito si esibisce comunque in una doppia respinta prima di capitolare su Graziani.
L’anno dopo trova più spazio, ma la squadra è poco competitiva e retrocede in B.
In serie cadetta Giuliani e i comaschi restano tre anni,risalendo in A nel 1984.
Nella stagione che vide lo scudetto del Verona, i tifosi lariani dovettero recriminare per un goal subito tra le mura di casa solo in due circostanze, contro l’Avellino, goal di Lucarelli ribaltato poi dai lariani e per un rigore di Maradona in un pareggio tra comaschi e partenopei per 1 a 1.
Un’impresa epica se si pensa a cosa era la seria A di quell’anno, un torneo più somigliante per valori tecnici alla odierna Champions League che non al campionato italiano di oggi: anche le squadre teoricamente non in lotta per le primissime posizioni avevano giocatori di nome, di livello internazionale.
Basti pensare a Maradona e Bertoni nel Napoli, Zico nell’Udinese, Briegel ed Elkjaer nel Verona, Junior nel Torino, Souness nella Samp, Socrates e Passarella a Firenze, oltre ai Falcao, Cerezo, Platini, Rummenigge, Boniek di Juve, Roma e Inter. Perfino il Como si regalò un nazionale tedesco come Hansi Muller seppur reduce da un periodo nell’Inter discretamente deludente.
Giuliani sul Lago trovò come allenatore Ottavio Bianchi: tecnico lombardo, occhi chiari, carattere scontroso, ammorbiditosi con il tempo, il quale allenò il portiere anche sotto il Vesuvio nella stagione dell’Uefa.
Dopo l’esperienza comasca, Giuliani si imbatte in un altro tecnico dal carattere non semplicissimo: Osvaldo Bagnoli a Verona.
Sostituì tra i pali scaligeri Garella, cui subentrerà per uno strano scherzo del destino anche a Napoli e Udine.
Il Verona sembra fiacco dopo lo scudetto inatteso e la stagione scivola via anonima con l’unico picco emozionale rappresentato dalla doppia sfida con la Juventus in Coppa dei Campioni, con la qualificazione bianconera costellata dalle polemiche per un arbitraggio, giusto per non perdere il vizio.
Giuliani in quella stagione si imbatte suo malgrado in uno dei goal più celebrati di Diego, nel 5 a 0 per il Napoli a Fuorigrotta.
Con Diego Giuliani avrà un rapporto particolare prima di essere il suo portiere: fu una delle vittime preferite dall’argentino, sia con il Como che con il Verona ma si tolse lo sfizio di parargli due rigori.
Il primo nella più dolorosa domenica per il Napoli nell’anno del primo scudetto, sul tre a zero per gli scaligeri, il secondo un anno dopo,in una domenica comunque positiva per il Napoli, vittorioso 4 a 1 al San Paolo.
Dopo tre anni in Veneto, l’estremo difensore approda in Campania, per rimpiazzare Garella, protagonista di un finale burrascoso con tecnico e società.
In campionato il Napoli resiste un girone al passo dell’Inter che vincerà il titolo con ritmi folli.
In Europa Giuliani è tra i protagonisti del cammino azzurro.
Purtroppo restano nella mente più gli errori commessi con Gaudino e Klinsmann nella duplice finale con lo Stoccarda ma all’atto conclusivo arrivammo grazie a lui.
In particolare Giuliani meritò voti altissimi nella trasferta di Lipsia, dove il Napoli trovò il pari grazie soprattutto ai suoi interventi e sullo zero a zero, nella semifinale d’andata contro il Bayern sfoderando un vero e proprio miracolo su Thon, centrocampista dei bavaresi.
L’anno dopo Giuliani conquista lo scudetto in azzurro. Non è una grande annata la sua: a un certo punto sembra perdere la titolarità in favore di Di Fusco, ma dopo solo due gare tornerà tra i pali fino a fine stagione e con la Lazio, blinderà, durante la festa scudetto, il goal iniziale di Baroni con alcuni interventi.
L’anno dopo il club partenopeo, con velleità da Coppa Campioni, si regala il pluridecorato Giovanni Galli.
Va a Udine e la storia di Giuliani sostanzialmente finirà qui.Dirà dopo la sua morte, la moglie, Raffaella Del Rosario: “Mio marito è morto solo, il calcio lo ha abbandonato, nessuno dei vecchi compagni lo ha più chiamato”. A parlare è l’ex soubrette Raffaella Del Rosario, moglie di Giuliano Giuliani, il portiere che aveva giocato e vinto col Napoli di Maradona. “Lo conobbi nel 1987 a una festa e fu subito amore. Mi faceva stare bene. Eppure solo dopo 3 anni di matrimonio mi disse che aveva l’Aids. Non dava certo l’idea del farfallone. Mi confidò che mi aveva tradita solo una volta. A Buenos Aires, alle nozze di Maradona. Io non ero andata perché avevo appena partorito. Lo lasciai ma sono rimasta il suo unico sostegno durante la malattia”.
Per gli altri era come se non fosse mai esistito. Giuliano morì per una crisi polmonare. Nessuno dei vecchi compagni di pallone si fece vivo. Nessuno ha avuto un pensiero per lui. Chiesi a Maradona e a Ferlaino di organizzare una partita per ricordarlo, non risposero neppure….Ma adesso? “Sono single con 3 figli, due dei quali vivono con me in una casa in affitto a Bologna…Sono anche nonna. Vuole anche sapere come me la passo? Non certo bene. Mi basterebbe ritrovare un lavoro, come ai vecchi tempi. In fondo credo di essere ancora una donna piacente…”
Il Napoli di Ferlaino lo ha dimenticato, il Napoli di De Laurentiis lo ha ricordato sporadicamente ma si può ancora rimediare.
Adesso che il San Paolo avrà un aspetto più decente con i lavori delle Universiadi, perché non intitolargli un settore dello stadio, magari la Tribuna Nisida, magari i Distinti?
Per porre fine a un oblio che l’atleta e l’uomo non meritano.
Marco Bruttapasta

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione