Gigi Riva, leggenda del calcio italiano e simbolo dentro e fuori dal calcio compie oggi 76 anni. Siamo al cospetto di un campione che ha fatto la storia del Cagliari e della nazionale italiana.
Per coloro che lo hanno vissuto, la figura di Gigi Riva è intrinsecamente legata al soprannome “rombo di tuono”. Soprannome datogli da Gianni Brera. E pensare che, appena cinque anni prima, lo stesso Brera scrisse che un calciatore come lui non sarebbe andato da nessuna parte: «Ha una gamba sola, visto che l’altra la usa solo per salire sul tram».
Per coloro che, come noi, possiamo raccontarlo solo dopo averlo visto giocare in videocassetta, rimane invece un bomber devastante e un modello all’interno e all’estero del rettangolo di gioco. Indelebili i ricordi delle sue gesta in nazionale e, naturalmente, dello storico scudetto del Casteddu.
Dalla prima rete con la maglia del Cagliari, segnata al portiere Gridelli del Prato nel lontano settembre del 1963, all’ultima, realizzata a Rigamonti del Como nel gennaio del 1976, sono passati 12 anni e 4 mesi. Arco di tempo più che sufficiente per consacralo nella leggenda del calcio isolano e italiano.
Eppure questo ragazzone dai tratti duri, ma allo stesso tempo gentili, è nato in Lombardia. Cresciuto nel Lavegno Mombello, era soprannominato dai tifosi locali Ul furzelina, cioè “Il forchetta”, vista la sua capacità di “infilzare” le difese. Arrivò poi il passaggio al Legnano, dove si mise luce in Serie C. In quegli anni, il Cagliari giocava due partite in casa e due in trasferta per limitare i costosi viaggi. Quando giocava al nord, la squadra isolana faceva base proprio a Legnano.
I dirigenti se ne innamorarono e ingaggiarono un duello di mercato con il Bologna, assicurandosene le prestazioni. Il calciatore era riluttante, a causa dei consigli della famiglia: «Ma cosa vai a fare su un’isola, è meglio se resti qui a lavorare». A quei tempi in Sardegna venivano spediti i carabinieri o i militari indisciplinati. Gigi Riva ha invece deciso di issare orgogliosamente il vessillo sardo, abbracciandone la causa: «In giro per l’Italia ci gridavano ladri, banditi, pecorai. E noi, per tutta risposta, giocavano ancora più forte».
A Cagliari approdò quindi nel 1963, passando dalla C alla B. L’anno dopo arrivò il passaggio in massima Serie. In 11 stagioni, collezionò 261 presenze e 135 gol. Vinse tre volte la classifica capocannonieri, trascinando la squadra alla leggendaria vittoria dello scudetto nel 1960. Due anni prima, vinse l’Europeo casalingo con l’Italia.
Gli azzurri ebbero la meglio nel replay match, visto che la prima partita era terminata sull’1-1 ed era pertanto prevista la ripetizione. Fin dal calcio d’inizio, sembrò evidente che l’Italia stesse meglio fisicamente, grazie soprattutto ai cambi saggiamente apportati dal CT. La Plavi sembrava invece decisamente svuotata e a corto di energie.
Alla mezzora l’Italia era già sul 2-0, grazie alle reti di Riva e Anastasi. In difesa, gli azzurri sembravano inespugnabili. Dragan Džajić, che aveva tormentato Tarcisio Burgnich nella prima finale, si ritrovò incapace di scrollarsi di dosso il suo marcatore. E l’Italia riuscì a concretizzare questa superiorità atletica senza troppe difficoltà.
Dopo 12 minuti, Angelo Domenghini, che il sabato era stato l’eroe dell’Italia, tirò dal limite dell’area. La palla fu deviata e arrivò tra i piedi di Gigi Riva, che segnò indisturbato da dentro l’area con un tiro fulmineo che si depositò alle spalle di Ilija Pantelić. Alla sua prima occasione, il bomber del Cagliari fece centro.
La sua avventura in maglia azzurra è, inoltre, indissolubilmente legata alla “Partita del secolo” Italia-Germania 4-3 dell’Azteca, dove segnò il gol del 3-2. «Quando l’arbitro fischiò la fine della partita, stravolti dalla stanchezza non riuscimmo subito a realizzare l’importanza dell’impresa. Quando iniziammo a vedere le immagini che arrivano dall’Italia e da tutto il mondo, solo allora ci rendemmo conto. Fu un successo per tutta la nostra Nazione. Un successo di persone che non hanno mai mollato, anche quando sembrava ormai perso tutto… Questa partita è la storia della vita, se non si molla fino all’ultimo istante tutto è possibile».
La sua epopea iniziò comunque in un campetto di un oratorio nei pressi di casa, a Leggiuno: «Penso che dopo aver imparato a camminare, mi ritrovai subito lì. Si giocava a piedi scalzi, per non rovinare le scarpe. La pianta dei piedi era una suola di calli, la pelle era durissima, piegavo i chiodi. Il parroco, don Piero, mi incoraggiava. Era contento perché con i miei gol facevo sempre vincere la parrocchia, ma era severo. Guai se alla domenica non si andava in chiesa».
A causa di un incidente sul lavoro, Gigi Riva perse il padre giovanissimo e qualche anno più tardi morì anche la madre. Fu pertanto cresciuto da Fausta, la sorella maggiore: «Non hai punti di riferimento e ti mancano disperatamente gli affetti, quello della madre in particolare. Ti porti dentro qualcosa che gli altri non hanno. Impari a non arrenderti mai. A reagire. A soffrire. Le difficoltà che incontri nel calcio sono una stupidaggine di fronte a quelle della vita. Le botte dei difensori sono carezze al confronto con le bastonate dei lutti, della solitudine, delle privazioni».
Il primo gol in Serie A lo mise a segno contro la Sampdoria il 27 settembre 1964. Il match terminò 1-1, per effetto del pareggio di Barison, altro eccellente numero 11, scomparso poi in un incidente stradale. «Segnai alla terza giornata, con un diagonale da sinistra, che il portiere Sattolo non riuscì a deviare. Era il primo gol all’Amsicora del Cagliari in serie A, ci fu una baldoria incredibile, che travolse tutti, pubblico e giocatoriQuel campionato fu una splendida cavalcata. Alla fine del girone di andata ci ritrovammo all’ultimo posto, ma poi chiudemmo al sesto in compagnia del Bologna, che l’anno prima aveva vinto lo scudetto».
Riva non si è mai conformato al calcio che stava diventando sempre più business. Sarebbe potuto andare in una delle tre grandi del nord, puntando a vincere molti più scudetti e anche una coppa europea. Eppure ha deciso di legare la sua carriera al Cagliari. «La chiave è stata molto semplice: mi resi conto che per questa gente ero importante. Quando giocavi a Milano o Torino e ti ritrovavi il sostegno di diecimila sardi che provenivano da mezza Europa, capivi che c’era qualcosa che andava oltre il semplice rapporto tifoso-calciatore. Ai miei tempi nel calcio c’era posto anche per i sentimenti. Nessuno si buttava via, intendiamoci, ma chi poteva permetterselo non pensava solo ai soldi. Si consideravano anche altre cose: la maglia, la città, i tifosi».
Quando Gigi Riva si ritirò dal calcio giocato, Gianni Brera, da tempo ricreduto, ne dipinse un ritratto epico: «Il giocatore chiamato Rombo di Tuono è stato rapito in cielo, come tocca agli eroi. Ne può discendere solo per prodigio: purtroppo la giovinezza, che ai prodigi dispone e prepara, ahi, giovinezza è spenta». Resta indelebile nella memoria degli appassionati di calcio il suo record di gol in nazionale. Ma lui ne preferisce uno in particolare: «Il mio preferito è quello di testa contro il Bari. Quella notte non mi addormentai per paura di svegliarmi da un sogno. Temevamo che quello scudetto ci fosse vietato politicamente».
Politicamente ha avuto posizioni chiare e, anche in questo caso, non si è conformato tantomeno “venduto”. Socialista e craxiano convinto, declinò gentilmente l’offerta di Silvio Berlusconi. «Mi considero un buon socialista. Conobbi Craxi e Martelli negli anni Settanta e il loro progetto mi convinse. Fui inserito nell’assemblea dei quaranta. Una presenza simbolica. Poi sono cominciati gli scandali e mi sono allontanato dalla politica. Fui poi contattato, nel 1993, dal gruppo Milan, ma rifiutai».
Riva è stato poi dirigente accompagnatore della Nazionale fino al 2013. «Fu un’idea di Matarrese». Se Berlusconi fosse stato presidente del Milan ai tempi in cui Gigi Riva giocava, sicuramente gli avrebbe offerto un ricco contratto e, altrettanto certamente, Rombo di tuono avrebbe rifiutato. D’altronde, dopo ogni partita spuntava Allodi che gli diceva ‘Dai, telefoniamo a Boniperti’. Ma Riva non ha mai avuto il minimo dubbio e non si è mai pentito.
Vincenzo Di Maso
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione