La carriera di Dejan Stankovic è un modello di lealtà, longevità ed eccellenza. In quasi due decenni da professionista, il serbo non ha solo conquistato allori, ma è diventato una leggenda di tutte le squadre in cui ha giocato.
In un’epoca calcistica che pullulava di grandi nomi, Stankovic merita il suo posto tra i migliori centrocampisti della sua generazione per la sua straordinaria brillantezza a tutto tondo, riassunta perfettamente dall’ex compagno di squadra Mihajlović: “Stanković aveva tutto: forza, corsa, intelligenza, capacità di spingersi in avanti, tecnica. Ai miei occhi, in realtà, ha ottenuto meno di quanto avrebbe potuto ottenere“.
Forse non era dotato dell’immensa classe di Andrea Pirlo o delle capacità di tackle di Gennaro Gattuso, ma nel terzo millennio sono stati ben pochi i centrocampisti così completi come il serbo.
D’altronde nella sua carriera riecheggia il ricordo indelebile di quel gol segnato a Manuel Neuer in Champions contro lo Schalke 04. Quella rete leggendaria ammortizza l’onta della sconfitta casalinga per 5-2 contro la compagine tedesca. Manuel Neuer è sempre stato un portiere che ha letto in anticipo le azioni. Non poteva immaginare, tuttavia, che Dejan Stankovic riuscisse a colpire un pallone volante, praticamente da centrocampo, senza farlo rimbalzare e trovando la perfetta coordinazione per insaccarlo.
In quei casi, nove calciatori su dieci o si rendono protagonisti di figuracce incredibili o rinunciano alla battuta. Per segnare da quella posizione, e con il pallone in area, devono materializzarsi una serie di condizioni molto difficilmente raggiungibili. Tuttavia, ai fini della materializzazione di tali condizioni, è fondamentale anche la perizia dell’esecutore. E Stankovic di perizia ne ebbe tanta.
E dire che due anni prima, il serbo dell’Inter si era reso protagonista di un’altra grandiosa realizzazione da centrocampo. Anche in quel caso, il calciatore nerazzurro si coordinò magistralmente, senza far cadere il pallone né facendolo rimbalzare.

Nato a Zemun, vicino Belgrado, l’11 settembre 1978, l’infanzia di Stankovic coincise con l’aumento delle tensioni politiche e sociali in tutta la Jugoslavia. Una tossica combinazione di difficoltà economiche e corruzione politica, unita alle linee di divisione storiche della regione, relazionate in primis a religione ed etnia, fece sì che la guerra civile e la frammentazione della nazione comunista iniziassero a dilaniare quei territori negli anni ’80 e culminando in un periodo di sangue negli anni ’90.
Come tanti altri ragazzi dell’ex Jugoslavia, Stankovic trovò conforto nel calcio, passando interminabili ore ad affinare le sue abilità nelle numerose partite di strada che svolgevano nel suo quartiere. A tutt’oggi, il calciatore serbo considera questi anarchici salti in aria come una componente vitale del suo successo finale, affermando: “Quando guardo indietro alla mia carriera calcistica, posso onestamente dire che è iniziata con il calcio a 5, anche se all’epoca si trattava semplicemente di calcio di strada o di calcio nel cortile della scuola“.
Dopo gli inizi nel piccolo Teleoptik, Stankovic si è affermato con la Stella Rossa, squadra di cui è diventato capitano a 19 anni. Nel 1998 era uno dei giovani centrocampisti più ambiti d’Europa e ad aggiudicarsene le prestazioni fu l’ambiziosa Lazio di Cragnotti. La Roma rispose con “il rivale” Tomic, ma le sorti dei due furono diametralmente opposte.
Stankovic si affermò come uno dei centrocampisti più forti d’Europa, facendo incetta di trofei in una Lazio che primeggiò in Italia e divenne tra le più forti squadre del continente. Quella di Eriksson era una straordinaria corazzata. Il suo mix di potenza, efficienza ed estro lo resero il centrocampista creativo ideale per la sensibilità pragmatica dell’allenatore svedese.
Il suo viscerale agonismo e la qualità fuori da ordinario lo fecero entrare nel cuore dei tifosi biancocelesti, che lo soprannominarono “Il Drago”. Il suo approdo all’Inter non fu un tradimento, ma la Lazio, in difficoltà economiche, si ritrovò a vendere i migliori. Quando tutti lo davano a Torino, sponda Juve naturalmente, il serbo optò per l’Inter, accettando i nerazzurri pur prendendo uno stipendio più basso.

La sua partnership con Adriano (sponde del brasiliano e inserimenti del serbo a rimorchio), la sua decisività, instancabilità, tenacia e qualità, lo fecero entrare immediatamente nei cuori anche dei tifosi nerazzurri. In campo trasudava una spavalderia bellicosa e martellante, fatta su misura per l’intenso calderone dei derby, stracittadine in cui è stato decisivo a Belgrado, Roma e Milano.
Con Mancini alla guida, Stankovic si confermò come uno dei migliori centrocampisti in circolazione. Con l’avanzare dell’età, palesò un calo in termini di dinamismo. Al suo approdo in nerazzurro, José Mourinho ammise candidamente di non vedere in Stankovic il solito calciatore devastante a livello atletico.
Eppure, dopo grandissime prestazioni al primo anno del tecnico portoghese, quest’ultimo rivide il giudizio. Il serbo, per molti versi, rappresenta il perfetto giocatore di Mourinho: un professionista esperto, mentalmente forte e con il giusto equilibrio tra grinta e qualità, che di solito vede un giocatore entrare nella cerchia ristretta dello Special One.
Nell’anno del Triplete, il serbo era il dodicesimo uomo, ma era uno dei tanti con cui Mourinho amava andare in guerra. Basti pensare che in quel memorabile 2009/2010 Stankovic mise a referto 43 presenze, condite da 5 gol.

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione