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Chi ha visto le foto delle nuove maglie spuntate su profili Twitter molto affidabili è rimasto esterrefatto. Dall’anno dello scudetto sfiorato, il Napoli non inaugura maglie decenti. Anno dopo anno si sta peggiorando.

Le nuove normative federali hanno obbligato le squadre a rimuovere eventuali “toppe” dalle maglie. Il Napoli ha dovuto gioco forza rimuovere quella che “ospitava” il marchio Lete, ma questo marchio è rimasto in rosso.

Le maglie sono un caleidoscopio di colori. La prima potrebbe sembrare una maglia dell’Inter, la seconda della Juve, la terza quella del Napoli femminile. Pertanto, il disegno grafico non è l’unico problema della partnership del Napoli con Lete.

Quando ci siamo espressi sul presidente Aurelio De Laurentiis, abbiamo tracciato un bilancio positivo del suo percorso al timone dei partenopei, che va avanti da oltre tre lustri. L’iconoclastia dei tifosi verte sul settore giovanile molto modesto, la comunicazione poco consona al livello raggiunto sul campo e a un marketing/merchandising quantomeno rivedibile.

Sta spopolando su Twitter l’hashtag #LeteOut. La maggior parte dei tifosi azzurri lo sta diffondendo, mentre i più conservatori obiettano sostenendo che Lete, che paga il Napoli, può fare ciò che vuole. In realtà sarebbe stato d’uopo un colloquio proprio per accontentare i tifosi. Che sono coloro che acquistano le maglie.

La cosa però più grave è che Napoli ha come main sponsor uno regionale molto piccolo (anche se la sede è a Roma, Acqua Lete fu fondata in provincia di Caserta). Altre società, che hanno fatturato e ranking UEFA inferiori a quelli degli azzurri, hanno stipulato contratti con aziende ben più prestigiose e dalle cifre ben più remunerative.

Basti pensare che Lete corrisponde al Napoli circa 9 milioni l’anno, cifra ridicola non solo rispetto alla media europea ma anche al cospetto degli altri club italiani. La cifra ricavata dall’accordo con Lete colloca gli azzurri solo al settimo posto in Italia in questa speciale classifica.

Discorso simile con Kappa, sponsor tecnico, che rimane di caratura appena nazionale. Qualcuno obietterà sostenendo che Kappa ha già vestito il Barcellona, ma eravamo negli anni ’90. Anche Kappa corrisponde al Napoli un importo risicato. Kappa ha dato alla società del presidente De Laurentiis “ampia libertà di manovra in termini di marketing e gestione dei propri punti vendita”.

Questa “libertà di manovra”, tuttavia, non si traduce in espansione del brand, ma è un deterrente in tal senso. Il Napoli ha acquisito respiro internazionale grazie alle belle partite in Europa e ai secondi posti, nonché a qualche trofeo nazionale. Come sponsor la situazione è nera. Nei punti vendita all’estero, fatti salvi pochi Paesi, le maglie del Napoli non si trovano.

Il rinnovo con Kappa fino al 2022 e poi fino al 2025 è una notizia terribile. In proporzione, è come se gli azzurri avessero toppato ancor più la stagione, non riprendendosi a gennaio, ma arrivando sedicesimi come il Torino. Questa scelta ha tarpato le ali alla crescita ed è un discorso oggettivo.

A chi difende queste scelte strategiche, è lecita una domanda. Come mai tutti gli altri club di livello simile al Napoli (e anche molti di livello inferiore) stipulano contratti con main sponsor e sponsor tecnici di ben altra caratura? Come mai strappano contratti più redditizi?

Per questo motivo, è d’uopo lanciare gli hashtag #LeteOut e #KappaOut