Il Club Deportivo Palestino è una società fondata da persone che si trasferirono dalla Palestina al Cile e a 13.000 km di distanza dal Paese arabo a seguito del conflitto israelo-palestinese. La guerra di Crimea a metà secolo XIX, la seconda guerra mondiale e le guerre arabo-israeliane della metà del ‘900 hanno portato molti palestinesi a rifugiarsi nei paesi vicini come la Giordania e la Siria. Ma molti non sanno che circa 500.000 persone si sono in qualche modo dirette verso Santiago, capitale del Cile, per sfuggire alle persecuzioni e per offrire una vita migliore a loro stessi e alle loro famiglie. Santiago, e più in generale il Cile, è diventata presto la sede della più grande diaspora palestinese al di fuori del Medio Oriente. Gli immigrati palestinesi prima con il commercio di prodotti settili perché era molto redditizio.
Il loro desiderio di unione con il Paese e con il suo passato portò alla fondazione, il 20 agosto 1920, del Club Deportivo Palestino, un club con maggioranza di calciatori di origine araba. Tuttavia, una volta che il club divenne professionista e raggiunse la seconda divisione cilena, furono ingaggiati calciatori di origine non araba, sia cileni sia di altre nazioni sudamericane. In un certo senso, è possibile considerare il Club Deportivo Palestino come il primo club di calcio mai fondato da rifugiati a livello globale. Dal nome si evincono chiaramente le radici palestinesi.

Il Palestino vanta nella sua bacheca due titoli nazionali e due coppe del Cile. Il primo titolo arrivò nel 1955, sotto la guida dell’argentino Guillermo Coll. In quegli anni il Palestino venne ribattezzato come Millionario, in quanto in quel periodo storico riusciva ad acquistare i migliori calciatori cileni, offrendo loro ingaggi molto alti per l’epoca. Nel 1978 il Palestino vinse il suo secondo titolo, arrivando a totalizzare una striscia di ben 44 risultati utili consecutivi. La stella era Elias Figueroa, uno dei migliori calciatori cileni di sempre e inserito da Pelé nel FIFA 100. Nella Copa Libertadores del 1979 il club cileno si fermò in semifinale, battuto solo dai campioni dell’Olimpia.
I colori sociali del Palestino sono quelli palestinesi, ovvero rosso, verde e bianco. Allo Estadio Municipal de La Cisterna, i tifosi si recano con bandiere palestinesi e il Keffiyeh, un copricapo tradizionale. Il club è considerato la seconda sezione palestinese. Nel dicembre 2016 il Palestino ha affrontato la nazionale palestinese in amichevole, acquisendo grande popolarità nel Paese arabo.

Il Palestino non ha mai voluto prendere posizioni politiche relativamente al conflitto israelo-palestinese. Troviamo solo due eccezioni. La prima nel 2012 quando l’estremo difensore Leonardo Cauteruchi (origini italiane e non palestinesi o arabe) ha indossato una maglietta con la mappa della Palestina al posto del numero uno. E nel 2014, nel match iniziale del campionato cileno contro il Cobreloa, dopo che la federazione cilena impose al club di Santiago di rimuovere la mappa della Palestina dalle proprie maglie (mappa del 1946, ovvero prima dell’istituzione dello stato di Israele), i calciatori se la tatuarono sul braccio. Il tutto avvenne dopo le proteste di alcuni ebrei cileni, tra cui un presidente di una nota squadra.
Roberto Kettlun, calciatore che ha militato nel Palestino e anche nelle serie inferiori italiane, ha parlato delle difficoltà della Palestina: “Molte volte si blocca l’equipaggiamento che ci invia la FIFA, che sia per gli allenatori oppure il materiale sportivo. Quando si chiamano degli specialisti perché diano delle lezioni ai nostri allenatori, li respingono alla frontiera e non li lasciano entrare. Così come organizziamo tornei e rimandano indietro la metà delle squadre rivali”.
Ogni volta che i calciatori del Palestino entrano in campo, si ha la sensazione che non abbiamo addosso solo gli occhi dei tifosi cileni, ma anche quelli di milioni di altri tifosi all’estero, soprattutto in Medio Oriente. Il commentatore radiofonico e musicista cileno Sebastián Manríquez ha affermato: “CD Palestino non è solo per una squadra di calcio che gioca a La Cisterna, ma quella di una comunità molto rispettata in Cile, quella della terra da cui provengono i loro fondatori e gli antenati dei tifosi, quella delle persone che stanno soffrendo forse le conseguenze più inspiegabili di un conflitto quasi infinito in Medio Oriente”.
Questo legame tra Palestina e Cile ha portato anche diversi calciatori palestinesi-cileni, che spesso non parlano una sola parola di arabo, a fare un viaggio di 13.000 km in Cisgiordania per partecipare alle partite di qualificazioni ai Mondiali di calcio, da quando l’Associazione calcistica palestinese ha aperto ai naturalizzati. Naturalmente non è stato facile, poiché le restrizioni nei movimenti dei calciatori tra Gaza e la Cisgiordania rendevano difficile per la nazionale palestinese poter scendere in campo regolarmente, per non parlare delle sessioni di allenamento all’interno del Paese o all’estero. Per quanto riguarda le naturalizzazioni, è stato possibile accettare solo calciatori di origini palestinese, anche lontane.
Molti tifosi in Medio Oriente non avrebbero mai associato nomi come Patricio e Roberto a cittadini palestinesi. Ma questi nomi sono diventati parte di una tendenza che sta avendo una forte influenza sulla nazionale. Certo, altrove in Medio Oriente ci sono calciatori che sono stati naturalizzati solo per poter far parte della nazionale, non avendo alcun legame con il Paese. Tra gli esempi più eclatanti ci sono i tantissimi naturalizzati che giocano nella nazionale del Qatar, la quale ha vinto la Coppa d’Asia principalmente grazie a loro. Ma nel caso del Palestino e della Palestina la situazione è ben diversa. Nel caso dei palestinesi-cileni, esiste un legame che li lega alla loro patria.
Tutto è iniziato con Nicola Shahwan, un discendente di immigrati palestinesi in Cile, che nel 2002 è stato designato come CT della nazionale. Nicola non è arrivato da solo, ma ha portato con sé un gruppo di cileni la cui naturalizzazione è stata approvata dalla FIFA, in quanto avevano origini palestinesi.
In questi anni la nazionale palestinese ha potuto vantare tra le proprie fila giocatori cileni di discreto livello, come Alexis Norambuena, Jonathan Cantillana e Daniel Kabir Mustafa. Attualmente il migliore calciatore della nazionale palestinese è un cileno. Parliamo di Yashir Armando Pinto Islame, che ha giocato tantissime partite con la nazionale cilena under 20. A 25 anni, considerate le poche possibilità di giocare per la nazionale maggiore del Paese sudamericana, ha optato per quella della terra dei suoi antenati. Grazie anche all’apporto dei cileni e di altri calciatori della “diaspora”, la Palestina ha raggiunto il 130° posto nel ranking FIFA.
È impossibile negare che il Tino Tino – come lo chiamano i cleni – sia un club come nessun altro nella lega. La maggior parte dei tifosi cileni riconosce il contributo della diaspora palestinese in Cile e il background storico che il Palestino cerca di rappresentare. La maggioranza della popolazione cilena sostiene la causa palestinese. Per questi motivi, nonostante il fatto che il Palestino non sia una delle squadre più popolari del campionato, i suoi tifosi sono i più rispettati e sostenuti nel calcio cileno.

Questo rispetto arriva anche dai tifosi dei loro principali rivali: il club della diaspora spagnola Unión Española e la squadra della diaspora italiana Audax Italiano. Ad esempio, nel bel mezzo della controversia sulla sostituzione del numero 1 con la mappa palestinese da parte del portiere di origini italiane, i tifosi di quasi tutte le squadre partecipanti alla Primera División hanno espresso il loro sostegno al club, compresi i tifosi della Ñublense. Quest’ultimo è il club che ha denunciato il Palestino, che si sono scagliati contro il proprio presidente, Alex Kiblisky, affermando che le origini ebraiche di Kiblisky siano state determinanti in quella decisione.
Il club ha perorato la causa palestinese. Dirigenti e calciatori sono stati molto coraggiosi e lo si è visto negli atteggiamenti, dimostrando patriottismo e occupandosi quotidianamente di ciò che succede in Palestina.
Anche se, a seguito dell’episodio del 2014, il Palestino ha accettato la multa e di cambiare la divisa, il messaggio sulla pagina Facebook del club era chiaro. “Per noi, la Palestina libera sarà sempre la Palestina storica, niente di meno”.
È stato un chiaro messaggio da parte di uno dei club più interessanti, politicamente carichi e unici del mondo del calcio. Nonostante la squadra sia composta ora per la grande maggioranza da calciatori di origini non arabe, il sentimento è rimasto forte.
Vincenzo Di Maso

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione