Ci sono calciatori che a 20-22 anni non sono nessuno e poi arrivano in nazionale, vincono un mondiale o la Champions. Ce ne sono poi tanti altri, la cui parabola è comune alla stragrande maggioranza dei loro omologhi. Ci sono poi poi coloro che, dopo ottimi inizi, non mantengono le aspettative. E poi c’è Jonathan Bachini.
Nel calcio moderno, compreso quello a cavallo del nuovo millennio, è impensabile che un calciatore che arrivi a giocare in una big di Serie A si riduca sul lastrico e debba trovare una nuova vita, mettendo un’altra tuta, quella da operaio. Jonathan Bachini è stato vittima dei demoni che aveva in corpo, quelli che non è riuscito a scacciare, quei demoni che lo hanno travolto.
Jonathan Bachini ha perso quella sicurezza in se stesso, cadendo in un vortice interminabile, il quale non viene assorbito dall’aria, per osmosi. Per uscirne fuori è necessaria una lotta con i propri demoni, che vada al di là del training autogeno.
Bachini, classe ’75, è arrivato anche a esordire nella nazionale maggiore in una gara ufficiale, dopo che aveva collezionato delle presenze nell’under 21 allenata dal compianto Rossano Giampaglia, livornese come lui. A 24 anni Bachini aveva tutto quello che i suoi coetanei desideravano. Giocava nella Juve, una delle squadre più forti d’Europa all’epoca, era nel giro della nazionale e percepiva uno stipendio ragguardevole.
La sua avventura in bianconero non fu delle migliori e, dopo essere stato prima prestato al Brescia, poi ceduto al Parma (nell’ambito dell’affare Buffon, dove fu valutato 30 miliardi del vecchio conio), e poi nuovamente dirottato a Brescia, in Lombardia trovò finalmente la continuità.
«Arrivai alla Juve tra la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, mi aveva voluto Lippi e mi allenò Ancelotti, ma mi sono trovato benissimo dal punto di vista umano».
In quegli anni, Bachini è stato compagno di squadra di Zidane, Del Piero e Baggio, tra gli altri. A cavallo del nuovo millennio era considerato un estero completo, veloce, forte in entrambe le fasi. La sua disciplina era apprezzatissima da due dei tecnici che si sarebbero rivelati tra i più vincenti di tutti i tempi. Bachini era capace di giocare indifferentemente su entrambe le fasce ed era dotato di una resistenza fuori dall’ordinario.
Ai suoi esordi a Udine divenne un elemento fondamentale nel brioso 3-4-3 di Zaccheroni, uno dei tecnici più in voga all’epoca. Alla prima stagione fu titolare inamovibile e contribuì al raggiungimento del terzo posto da parte dei friulani, miglior risultato di sempre. Con Francesco Guidolin le sue prestazioni non subirono alcun calo e Bachini entrò nel giro della nazionale, una squadra azzurra tra le più competitive di sempre. Per intenderci, il Jonathan Bachini dei tempi d’oro sarebbe stato preso in seria considerazione da Roberto Mancini per un posto da titolare nella nazionale attuale.
Nel 2-0 contro la Svizzera all’esordio in nazionale a Udine (nel 1998), l’esterno toscano subentrò nel secondo tempo e Dino Zoff ne elogiò la prestazione: «Ho inserito Bachini – spiegò Zoff dopo la partita – perché volevo che mi desse una mano sul piano atletico e devo dire che stato bravo, perché ha lavorato molto». A dicembre collezionò la sua seconda e ultima presenza in nazionale contro la FIFA All Stars in occasione del 100° anniversario della FIGC.
Per quanto riguarda il passaggio alla Juve, Bachini si pentì di aver chiesto la cessione. Era una squadra imbottita di campioni, che stava attraversando un ricambio generazionale e nella quale il calciatore toscano disputò solo 32 gare in due stagioni. Poche, ma neanche pochissime. Il suo cruccio è quello di non aver pazientato, spingendo per avere minutaggio e poi accettando il Parma, tra l’altro altra squadra all’epoca fortissima.
«Non ho mai riflettuto sulla valutazione del mio cartellino ai tempi del famoso trasferimento di Buffon, ma secondo me la cifra era corretta. Ero un esterno bravo in tutte le fasi. Anche adesso è difficile trovare esterni così completi».
Con il Brescia ha giocato al fianco di Baggio, Guardiola e Toni, tra gli altri, disputando stagioni positive e segnando gol belli. Ma poi si spense la luce e i demoni prevalsero. Dei demoni di colore bianco, che rispondevano al nome di cocaina. Quella maledetta polvere bianca che non lo ha più lasciato, ha portato alla fine della sua carriera per squalifica e non lo ha abbandonato per troppi anni.
Negli ultimi anni, una condanna per non aver pagato gli alimenti per le figlie, fino alla ritrovata serenità. E il mondo del calcio lo ha dimenticato…
«Sono stato emarginato da questo mondo come fossi stato il Totò Riina del calcio. Sono spariti quasi tutti gli amici o presunti tali nel calcio, qualche telefonata all’inizio ma poi il nulla, sono stato trattato come un lebbroso. Ma io ce l’ho fatta e sono qui. Tra i pochi a chiamarmi Roberto Baggio, lui sì che è un vero campione, dentro e fuori».
Dopo il matrimonio finito male, ha ritrovato la serenità con la nuova compagna Sabina, con cui è tornato a una vita normale. Una vita lontana dai riflettori, con un lavoro da operaio per sostentarsi. «Lei è stata fondamentale. Alcuni colleghi le hanno fatto vedere una mia foto dei tempi in cui giocavo, magro e con i capelli lunghi. ‘Bella quest’applicazione’, ha commentato. Loro insistevano: ‘Guarda che questo è Jonathan”. E Sabina replicava: ‘Sì, e io sono Belen Rodriguez’. Le ho raccontato tutto e adesso stiamo facendo i nostri progetti: speriamo di sposarci presto. A Livorno si dice che non può fare più buio di mezzanotte. Ecco, per me è stata mezzanotte per tanto tempo. Ho affrontato difficoltà familiari su cui non mi dilungo e mi sono rialzato. Adesso sono una persona felice e il futuro lo vedo roseo».
Jonathan Bachini ha sbagliato, si è rialzato e, fuor di retorica, ha fatto del male solo a se stesso. Quando ha chiesto un posto del mondo del calcio, FIGC e CONI gli hanno chiuso tutte le porte, come se fosse un “appestato”. Adesso attende la “grazia” da Infantino, presidente FIFA, come se avesse commesso chissà quale crimine orrendo. La storia di Bachini è l’esemplificazione di come il mondo del calcio possa essere ingiusto e crudele.
Vincenzo Di Maso
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione