La Bombonera compie 80 anni di vita, anche se non potrà festeggiarli come meriterebbe, a causa della pandemia di coronavirus. Lo stadio màs caliente del mundo è denominato così perché uno dei suoi progettisti, José Delpini, lo paragonò ad una scatola di bombones (cioccolatini in scatola) che aveva ricevuto in regalo nel giorno del suo battesimo.
Il Boca Juniors, la squadra di casa alla Bombonera, è stata fondata il 3 aprile 1905 da un gruppo di immigrati prevalentemente italiani. I fondatori si prefissero di far erigere uno stadio che fungesse non solo da teatro per le partite casalinghe, ma ancor di più come un simbolo di condivisione ed aggregazione per tutto il quartiere. La passione sempre crescente nei confronti del Boca meritava un palcoscenico grandioso e mastodontico per essere nutrita e alimentata. Serviva una casa che conferisse l’illusione di un riscatto sociale a quelli che erano definiti porteños, quegli immigrati così visceralmente legati al quartiere della Boca che Jorge Luis Borges, scrittore nativo proprio di Buenos Aires, scrisse «qui i turisti sono gli abitanti degli altri barrios».
La Bombonera, considerata all’unanimità uno degli stadi più caldi al mondo, fu inaugurata il 25 maggio 1940 in una partita tra i padroni di casa del Boca e il San Lorenzo. Da allora, la passione che si respira in questo stadio è cresciuta sempre di più. Con la maglia degli Xeneizes abbiamo potuto ammirare calciatori come Riquelme, Palacio, Tevez o Palermo, oltre naturalmente a Diego Armando Maradona. Al pibe de oro è riservato uno dei palchi VIP della Bombonera, che gli è stato donato in quanto reputato da tutto il popolo Xeneize “incarnazione di Dio”.
Il 20 aprile 1986 allo stadio è stato assegnato il suo primo nome ufficiale: Camilo Cichero, in onore del presidente che ha iniziato i lavori dello stadio. Ma alla fine del 2000 è passato a chiamarsi Albero J. Armando, storico presidente della società negli anni dal 1954 al 1955 e dal 1960 al 1980.
“La Bombonera no tiembla, late” cantano i tifosi argentini. “La Bombonera non trema, batte”. “Garra-Mistica-Pasiòn” è la cosiddetta trinità che tutti i calciatori della storia del Boca Juniors (e ancor più gli avversari) hanno provato sulla pelle, come un lungo brivido sulla schiena, percorrendo le scalette che, dagli spogliatoi, portano al campo. Romario, da avversario nei match contro il Brasile, ricordava: “La Bombonera è la cosa più vicina all’inferno”.
La prima volta che mise piede alla Bombonera per disputare un Superclásico, Hernán Crespo, allora giovane attaccante del River, guardò Ortega e gli disse: «Ariel mi tremano le gambe». Ortega, praticamente coetano, concordò naturalmente con Crespo, mentre i compagni più esperti gli dissero: «Hernán, esta es La Bombonera»
L’«Observer» ha messo il derby Boca-River giocato alla Bombonera al primo posto tra le cinquanta cose da fare prima di morire. «Dopo che l’avrete visto, nulla sarà più come prima. Sarete all’inferno. E vi scoprirete felici di essere lì».
Daniele De Rossi è stato il terzo italiano a giocare in Argentina, ma il primo in assoluto a non essere calcisticamente argentino. I suoi predecessori, Novello e Serafino, sono difatti cresciuti nel Paese sudamericano. Nei due secoli scorsi sono approdati centinaia di migliaia di italiani passando per il fiume Matanza-Riachuelo, vera porta di ingresso per l’Argentina come lo era Ellis Island negli USA. De Rossi ha seguiti, con ben altri mezzi, ma il suo arrivo in Argentina non può non rievocare le storie dei tantissimi nostri connazionali che hanno fatto le fortune del Paese sudamericano. Nostri connazionali che sono arrivati a La Boca, proprio attraverso il Matanza-Riachuelo. Emigranti genovesi che, in anni diversi, hanno fondato sia il Boca che il River, cosa che non tutti sanno. Lo stesso De Rossi ha dichiarato: “Non avrei potuto terminare la mia carriera senza giocare nel Boca”.
«La Bombonera è lo stadio più assurdo e clamoroso del mondo, è una cosa unica, mi sento privilegiato. Auguro a tutti gli appassionati di visitarlo almeno una volta. Quando ti ritrovi a fare riscaldamento in 5 metri quadrati o fai lo schizzinoso e dici io qui non gioco oppure ti lasci trasportare dall’ubriacatura degli argentini per questo gioco. Per come è andata la mia carriera, è stato meraviglioso chiudere così».
La Bombonera è stato, inoltre, teatro di addii di calciatori che hanno fatto la storia della squadra. Il 2 marzo 2009 Diego Armando Maradona, già ritirato da tempo dal calcio giocato, ha ricevuto l’omaggio dal suo pubblico. Diego, oramai corpulento, ha giocato il primo tempo con la maglietta argentina, il secondo con quella del Boca. “Ojala no termine nunca el amor que me tiene. La pelota no se mancha“.
Due anni dopo, il 13 giugno 2011, la Bombonera è stata teatro dell’addio di Martin Palermo, uno di quei calciatori che sembrano uscito dalla penna di Soriano. “Gracias por ser tan buen tipo“. Grazie per essere una così bella persona. Questo il messaggio lasciato dai tifosi del Boca a Palermo. Questa investitura è ancora più importante di quanto fatto in campo. Il pubblico di una squadra storica come il Boca apprezza l’attaccamento più dei risultati. Martin è scoppiato a piangere, mentre l’armonica suonava in tripudio.
È palese che, una volta varcati i cancelli di questo tempio, viene scavato un valico con la parte restante di Buenos Aires. Banditore che evidenzia una differenza radicata nel quartiere di La Boca e nella Bombonera rispetto a tutto quant’altro che non appartiene a La Boca, la Bombonera rappresenta una fiera manifestazione di autodeterminazione degli Xeneizes, i quali hanno trovato nel giallo e blu di questo stadio “che non trema ma batte” una casa per la quale hanno dovuto aspettare un quarto di secolo.
Sarà retorica, ma la Bombonera è un vero e proprio luogo mistico, dove la magia rimbomba nei cori cantati a sguarciagola dalla Doce. Si dice che nelle partite più importanti, quando il pubblico inizia a cantare e battere i piedi all’unisono, accada un qualcosa di unico: tutto il terreno di gioco inizia a tremare, come se avesse luogo un vero e proprio terremoto. La Bombonera non è solo uno stadio ma, appunto, un tempio e la realizzazione di un sogno.
Vincenzo Di Maso
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione