Il Consiglio Federale ha detto sì
La Serie A, come ogni altro aspetto della vita civile e sociale degli italiani, sarà obbligata a convivere forzatamente chissà quanto tempo ancora con il distanziamento sociale.
Di questo ne sono pienamente consapevoli in Figc. Orientati a far ripartire la giostra del pallone. Ma soltanto dopo aver garantito le idonee condizioni di sicurezza igienico-sanitaria a salvaguardia della salute di tutti i tesserati.
Un protocollo estremamente rigido. Ai limiti del draconiano. Che probabilmente potranno rispettare in pochi, all’interno della piramide calcistica.
Il Consiglio Federale, infatti, ha stabilito che i tre campionati professionistici (Serie A, Serie B, Lega Pro) saranno portati a termine, prolungando ufficialmente la stagione fino a metà agosto. Per i Dilettanti ed il calcio femminile, al contrario, lo stop è definitivo.
La Figc vuole privilegiare i risultati del campo
La scelta della Federazione di riprendere i campionati è figlia di una volontà precisa. Quella di privilegiare i risultati maturati sul campo. Piuttosto che cristallizzare le classifiche. Una decisione che avrebbe scontentato trasversalmente un po’ tutti.
Agendo in questa maniera, invece, la Figc ha scongiurato il rischio concreto di dover fronteggiare una serie interminabile di ricorsi giudiziari. Capace di produrre effetti potenzialmente devastanti per l’intero sistema calcio pure nella prossima stagione.
Eppure, come ha testimoniato concretamente la Bundesliga, la prima a ripartire, nello scorso weekend, tornare a far rotolare il pallone sul terreno di gioco sarà completamente diverso.
Prepariamoci, dunque, a respirare la medesima atmosfera che hanno vissuto in Germania prima, durante e dopo le partite. Una pseudo normalità, dal sapore tutt’altro che confortante, se parametrato a tre mesi fa. Con la quale, tuttavia, sarà giocoforza necessario coabitare.
Il pericolo disaffezione non è irreale
A questo punto, vediamo quali saranno le dolorosissime rinunce cui dovranno abituarsi in Serie A.
Innanzitutto, con le gare rigorosamente a porte chiuse, le tribune deserte, faranno da asettico contorno a spalti vuoti e silenziosi.
Pertanto, dietro l’angolo incombe un pericolo, idoneo a produrre le sue conseguenze nefaste a medio e lungo termine.
Accettare il compromesso di riprendere a giocare, per ragioni di mera sopravvivenza, tutelando la globalità del sistema dal punto di vista economico-finanziario, ma rinunciando al tifo dal vivo, potrebbe alla lunga, trasformare il calcio in uno spettacolo esclusivamente televisivo.
Il famigerato “stadio virtuale”, voluto e sostenuto a spada tratta da qualche presidente, interessato più al business dell’intrattenimento, e dei diritti tv genera disaffezione nel pubblico pagante. E il disinteresse diffuso potrebbe facilmente estendersi ad altri comparti, come il merchandising o il commercio dei prodotti sponsorizzati dal club.
Appare evidente quanto il calcio seguito comodamente da casa, stravaccati davanti alla televisione, sia idoneo a generare emozioni certamente diverse, meno coinvolgenti. Tanto per i tifosi. Quanto per i protagonisti in campo.
Serie A come la Bundesliga
Chiaramente, proprio i giocatori si dovranno inventare un nuovo modo di sentirsi coinvolti appieno nelle dinamiche del gruppo.
Gli allenatori, e le riserve in panchina non possono sedersi troppo vicini tra loro. Inoltre, indossano la mascherina. Almeno fino a quando non cominciano, eventualmente, a riscaldarsi. Senza trascurare che i giocatori sostituiti, ricevono celermente la mascherina da indossare, mentre sono ancora con i piedi dentro il campo.
La cosa maggiormente svilente, però, è non potersi abbracciare dopo un gol.
L’esultanza senza contatto. Un non senso. La negazione assoluta della pura gioia legata alla realizzazione di un gol. Quello sì, retaggio di memorie infantili. Ricordi di tempi andati, strettamente connessi all’oratorio o al calcio di strada.
D’altronde, se i protocolli pensati per garantire la sicurezza igienico-sanitaria dettano norme talmente astringenti, agli antipodi rispetto alle consuetudini radicate soltanto tre mesi orsono, da proibire la più genuina tra le manifestazioni di contentezza, vuol dire davvero che il calcio non tornerà uguale a quello pre Covid-19 per tantissimo tempo.
Limitare i contatti appare impossibile
Il problema di fondo, che pare nessuno voglia veramente approfondire, è legato al fatto che lo sviluppo del gioco comporta contatti continui.
Ergo, la distanza tra calciatori non può essere controllata. Perchè il calcio è innegabilmente uno sport situazionale.
E sulle palle inattive ci sarà sempre il classico assembramento. Con i giocatori che si aggrovigliano l’uno all’altro, ai limiti dell’accoppiamento carnale.
Immaginare che si possa disinfettare continuamente tutto e tutti, quindi, sembra davvero una forzatura, che sfocia ben oltre l’ipocrisia di chi gestisce il potere dalla stanza dei bottoni…
Francesco Infranca

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione