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Bobby Moore è considerato uno dei difensori più forti di tutti i tempi. Centrale completo e bandiera del West Ham, Moore ha alzato da capitano la Coppa del Mondo nel 1966 con la nazionale inglese.

L’avvicinamento al Mondiale successivo, quello di Messico ’70, vinto dal Brasile di Pelé contro la nostra nazionale, fu quantomeno tumultuoso. Esattamente 50 anni fa, il 18 maggio 1970, Bobby Moore fu accusato di furto a Bogotà e ne fu disposta la custodia cautelare.

Quando Bobby Moore fu arrestato per essere interrogato dalle autorità colombiane sul furto di un braccialetto di diamanti e smeraldi da 625 sterline alla vigilia dell’ultimo scontro tra l’Inghilterra e il Brasile nel 1970, non fu solo il mondo del calcio a rimanere sbalordito dallo scandalo. Alcuni giornali britannici sostenevano che si trattava di un complotto latinoamericano contro il capitano dei campioni della Coppa del Mondo del 1966 e il più grande eroe del calcio inglese. A inizio anni 2000, il Foreign Office rilasciò dei documenti che sembrarono aver portato a galla la verità su chi avesse davvero rubato quel braccialetto.

I documenti fornirono prove a sostegno dell’ipotesi che il vero ladro fosse un terzo uomo non identificato, forse un calciatore inglese, che si trovava anche lui nella gioielleria dell’hotel con Bobby Moore e Bobby Charlton quando il braccialetto scomparve. Nel 2003 i documenti rilasciati dal Public Record Office scagionarono ulteriormente Moore, spiegando che la polizia colombiana sapeva che ad aver sottratto il braccialetto fu una donna.

Il giornalista sportivo Jeff Powell, nella sua biografia di Moore, ha scritto che quest’ultimo gli aveva accennato, prima della sua morte avvenuta per un tumore nel 1993, che “è possibile uno dei ragazzi più giovani della squadra ha fatto qualcosa di stupido, uno scherzo finito male”.

 

Powell ha affermato in un documentario televisivo che Moore gli aveva raccontato tutta la storia, ma solo con la promessa che se la sarebbe portata con sé nella tomba. Powell ha aggiunto che tutto ciò rifletteva l’educazione ricevuta da Bobby Moore nell’East End londinese, in cui era una questione d’onore non fare la spia. Eppure, Bobby Moore non aveva alcuna certezza e, a quanto pare, non fu nessun calciatore della nazionale inglese ad aver sottratto il braccialetto.

All’epoca dei Mondiali di calcio in Messico, quando fu interprellato dai giornalisti sulle accuse di furto, Moore si proclamò innocente, affermando di non avere idee su ciò che era successo.

Gli archivi del Foreign Office rivelarono ciò che Moore e Charlton avevano dichiarato alle autorità colombiane quando fu chiesto loro di fare il nome del terzo uomo che era stato con loro nella gioielleria Fuego Verde nella hall dell’Hotel Tequendama, a Bogotà, dove alloggiava la squadra inglese.

Successivamente, interpellato dalle autorità inglesi, Bobby Moore dichiarò: “C’erano diversi membri della squadra di calcio inglese nel foyer dell’hotel e quando il signor Charlton ed io entrammo nella gioielleria, è possibile che altri membri della squadra fossero davanti alla porta del negozio. Per quanto ne so, nessun altro membro della squadra entrò nella gioielleria, ma io ho dato le spalle alla porta per tutto il tempo. Non conosco il nome di nessun terzo presente e non posso confermare nulla riguardo a una terza persona”.

 

Bobby Moore proferì queste parole in dichiarazione formale rilasciata ai magistrati di Bow Street a Londra nel dicembre 1970, dopo un’ulteriore richiesta delle autorità colombiane mesi dopo il suo rilascio dalla detenzione.

I colombiani chiesero anche a Bobby Charlton “di dichiarare, se lo ricordava, il nome dell’altro giocatore della nazionale inglese che li aveva accompagnati la sera dell’evento” e di chiunque altro, a parte la commessa, Clara Padilla, fosse presente nel negozio.

La commessa Clara Padilla

 

Bobby Charlton spiegò che la maggior parte dei giocatori inglesi aveva dato un’occhiata ai negozi dell’albergo dopo aver mangiato: “Stavo pensando di prendere un anello per mia moglie. Ho visto un anello esposto all’interno del negozio, non aveva un prezzo, così abbiamo deciso di entrare e vedere il costo. La giovane commessa ha preso l’anello dalla vetrina e ce l’ha portato, l’aveva tolto dopo aver aperto una porta di vetro. Abbiamo discusso il prezzo e abbiamo scoperto che era troppo costoso, così siamo andati via… Eravamo stati nel negozio al massimo cinque minuti. Di certo non ho visto un braccialetto incastonato di diamanti e smeraldi, perché un oggetto di questo tipo ci avrebbe suscitato un certo interesse“.

I documenti del Foreign Office mostrarono, inoltre, che durante l’indagine la polizia colombiana misurò le dimensioni del pugno di Bobby Moore per vedere se riuscire a passare attraverso il foro della teca di vetro da cui era stato rubato il braccialetto. Era troppo grande. La commessa Clara Padilla lo aveva inoltr accusato di aver portato via il braccialetto con la mano sinistra e di esserselo infilato nella tasca del blazer. A quel punto Moore riuscì a dimostrare che il suo blazer non aveva tasche sulla parte sinistra. La commessa scoppiò a piangere. Il rapporto del Public Report Office non rivelò il nome della donna, ma l’ipotesi che sia stata la stessa Padilla ad aver simulato un furto è concreta.

 

Moore fu trattenuto per quattro giorni prima di essere rilasciato per volare in Messico per giocare la contro il Brasile, dopo l’intervento personale del primo ministro Harold Wilson.

Il dossier riporta che il Ministero degli Esteri fu poi inondato di suppliche a nome dei britannici incarcerati in tutto il mondo. Alle critiche mossegli, Moore ribattè affermando che si era mosso per far liberare Bobby Moore in quanto convinto della sua innocenza.

 

Riportiamo un estratto della biografia di Bobby Moore, in cui, attraverso le parole del campione inglese, Jeff Powell ricorda l’episodio:

“Nel nostro albergo c’è una bella gioielleria. Così io e l’altro Bobby, Charlton, decidiamo di andare a dare un’occhiata. Anche perché l’altro Bobby aveva una mezza intenzione di regalare una collana a sua moglie Norma. Gironzoliamo anche lì. Niente d’interessante. Facciamo per uscire quando la commessa lancia un urlo che ci gela il sangue, a me e all’altro Bobby.

“Al ladro! Al ladroooooooooo!”

Io e l’altro Bobby ci guardiamo. Lì dentro oltre alla commessa, la “signora” Clara Padilla, ci siamo solo noi. E quella continua a urlare!
Beh, che mi venisse un accidente. Mi sta accusando di furto. Sta urlando che io, Robert Frederick Chelsea Moore, Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra, che con queste mani ho sollevato il Trofeo Jules Rimet ho rubato un braccialetto di smeraldi. Da non credere. Accorre un sacco di gente. Tutti. Il proprietario della gioielleria. Il direttore dell’albergo. Alf Ramsey.
Io continuo a ripetere come un disco rotto che non ho preso niente, che sì siamo entrati ma non abbiamo chiesto di vedere niente, che di bracciali non ce ne erano nemmeno. E l’altro Bobby continua pure lui a ripetere la stessa cosa, che no, non abbiamo preso niente, che eravamo entrati solo perché forse lui aveva intenzione di comperare una collana alla sua Norma, ma non un braccialetto, che braccialetti non ne avevamo visti!
Dopo un lungo, lunghssimo tira e molla sembra che tutto torni alla normalità e prima di uscire il buon Alfie bofonchia amaro in direzione del proprietario della gioielleria “Se il mio Bobby avesse voluto avrebbe comprato lei e tutto l’albergo. E poi che diamine! Siamo Inglesi noi!” Ma si sa. Gli Inglesi non è che vengano visti proprio di buon occhio da queste parti! Partiamo così dopo questo increscioso oltre che imbarazzante equivoco per affrontare la seconda delle amichevoli in programma in Ecuador. Il volo di ritorno, che ci porterà in Messico, prevede lo scalo a Bogotà. All’aeroporto Eldorado, oltre ai tanti fotografi, alla stampa e a una miriade di ragazzini in cerca di autografi, c’è un tale, Pedro Dorado. Lui non è lì né per un’intervista né per un autografo, no, lui è lì per notificarmi l’arresto.
Nell’arco di tempo di una partita a Quito, a Bogotà sono spuntati come funghi testimoni oculari che mi hanno visto rubare il bracciale! Non solo! Questo bracciale sembra il Sacro Graal! Non ha più nemmeno prezzo. E’ inestimabile! Ancora! L’altro Bobby era mio complice, mi faceva da palo! Cazzo! Agli arresti domiciliari. Da non credere.
Alfie e i ragazzi partono alla volta del Messico e io, il capitano, Robert Frederick Chelsea Moore, Bobby Moore, sono agli arresti!
L’unica fortuna è che dovrò scontarli a casa di un alto dirigente del Millionarios, club di Bogotà. Per la mattina successiva ho ottenuto addirittura il permesso di allenarmi con i ragazzi delle giovanili del Millionarios nel quartiere di Chicò.
Mi hanno fornito tutto il necessario, anche una bella tuta del Millionarios. Mentre sto palleggiando con i ragazzi arriva la notizia: le diplomazie hanno lavorato sodo per sbloccare la situazione, si dice addirittura che il nostro Primo Ministro Harold Wilson si sia scomodato alzando la cornetta.
Beh, comunque sia andata, posso finalmente partire per il Messico, ma, con la promessa di recarmi presso l’ambasciata colombiana a Londra qual’ora l’inchiesta dovesse proseguire”.