Caro Gianni,
ho aspettato un giorno in più per scrivere e salutarti, per non confondermi in quella palude zeppa di coccodrilli, alcuni bellissimi per carità (Beppe Smorto e Crosetti di Repubblica, ad esempio), ma a mentre fredda si ragiona meglio. Ed a volte ci vuole qualche ora in più per mettere a fuoco idee e pensieri.
Oggi è una domenica, caro Gianni, piena di “cattivi pensieri”. Ci mancherà tantissimo la tua rubrica Sette giorni di cattivi pensieri. Non si capisce cosa combinerà questo virus nei prossimi tempi. Il nostro paese e la gente sono ipnotizzati, ebbri, spaventati, precipitati nello sconcenrto più totale, e quando pure tutto sarà passato ci chiediamo cosa ci aspetterà: molto probabilmente, un periodo terribile, sul piano economico, lavorativo, sociale.
Oggi è una domenica senza calcio, Gianni, in cui le strade sono vuote, così come le osterie che tu tanto amavi, chiuse a tempo indeterminato. Tu eri uno semplice, genuino: quattro chiacchiere, una partita di carte, un bel mangiare in trattoria, tutte cose che in questa stinta domenica di marzo, la prima di primavera, ci sono rigorosamente negate.
Avevi scritto nella tua ultima volta di Sette giorni di…, esattamente domenica 15 marzo: “Ci sono tanti imbecilli, ma la brava gente è di più…”, a proposito dei milanesi che, nonostante i divieti, passeggiavano a grupppi per parco Sempione, e facevano finta di nulla, del pericolo che non ci dà tregua. Se oggi potessi scrivere ci diresti “state a casa, fate i bravi, fate gli italiani seri…”.
Nella tua ultima rubrica, avevi anche raccontato che Diego Costa dell’Atletico era “l’imbecille della settimana” per aver mimato uno sputo davanti alle telecamere nel dopo Liverpool-Atletico di Champions. Avevi come sempre ragione, purtroppo ora a Madrid è un’ecatombe.
Caro Gianni, non ti sarebbe piaciuto Higuain, e sicuramente oggi lo avresti bacchettato: se l’è filata con un jet privato in Argentina, in fuga dagli untori, mentre la sua città ed i suoi tifosi sono in balìa della paura e del rischio. Quelli come lui non ti hanno mai fatto impazzire, un po’ ti conoscevamo Gianni…
Del nostro personale incontro, invece, conservo un ricordo dolcissimo. Eravamo alla fine degli anni ’90, all’incirca 97-98 e io, giovane giornalista alle primissime armi, mi feci coraggio e ti telefonai alla redazione di Milano. Ti raccontai dei miei primi passi in questa intricata selva, dei miei sogni ed ambizioni. Ti mandai dei pezzi per avere un tuo parere e dei consigli. Fosti gentile con me. Risertvato ma umano. Disponibile.
Ti chiesi un incontro, e caso volle, che in quei giorni tu passavi per Napoli in occasione di una partita della Nazionale, e fissammo un appuntamento, di sabato mattina, all’hotel Royal sul luongomare, dove alloggiavi. Ricordo che assieme a te c’era Eraldo Pecci.
All’epoca non vigeva ancora la legge Sirchia sul divieto di fumo e mi è rimasto in mente che tu divoravi una MS dietro l’altra, come fossero noccioline. Chiedesti a Pecci una mezzora di privacy, per discutere con “un giovane collega”, ed allora parlammo e mi dispensasti tanti consigli. Fu breve ma bello. Per me eri un mito, come un giovane calciatore che incontrava Maradona o Pelè, l’emozione mi scorreva nelle vene. Mi insegnasti tante cose, anche se nel tempo, in carriera, mi sono distinto molto per la vena polemica e non so se ti sarei piaciuto sotto questo aspetto.
Accidenti, mi sono dilungato Gianni, ma tu mi comprendi. Tu dicevi “Meglio 10 righe in più che in meno, nei giornali poi è più facile tagliare che allungare”. Sì, la sapevi lunga sul nostro mestiere.
Ti saluto non solo col cuore ma con l’anima, ti piango e ti ringrazio per quello che mi hai insegnato, tutte le volte che ti ho letto e per quanto mi dicesti dal vivo, per quella breve ma preziosa lezione di giornalismo sul lungomare di Napoli, tanti anni fa.
Ti sia lieve la terra, e concludo con una stretta confidenza, ti lascio con un’intimità. Io non vado mai ai funerali né ai cimiteri per principio, forse non condiviso, ma ci sono tre sepolcri al mondo sui quali porterei sempre una rosa bianca (ne scrivesti tu a proposito dell’addio a Scirea, ndr) e un bigliettino: il tuo – ma non so se riposerai nella terra o nelle ceneri -, quello di Gianni Brera a San Zenone al Po e su quella di Osvaldo Soriano, nel cimitero della Chacarita a Buenos Aires.
Per il resto, la maniera migliore di ricordarti è un buon bicchiere di Cabernet.
Vincenzo Famiglietti
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione