Diamo voce a Luigi D’Andrea de L’Avamposto partenopeo. Luigi è tifoso del Napoli e studioso della storia napoletana, districandosi perfettamente tra latino (guai a dirgli che è una lingua morta), storia e calcio. Lo sport è affrontato a 360 gradi, non limitandosi al semplice aspetto tecnico.
Prima di riportare il suo articolo, mostriamo il link del canale YouTube, che invitiamo a seguire:
Il calcio di cui siamo profondamente innamorati, il calcio per noi malati d’osteoporosi, che stiamo vivendo in quest’alba del terzo Millennio si fonda su una totale incomprensione dei valori fondamentali dei calciatori, causata in parte dai procuratori che viziano la valutazioni di mercato e soprattutto da una mistificazione accuratamente perpetuata dai media che storpiano la verità o la amplificano, che straparlano o tacciono a seconda dei bacini di utenza e delle logiche editoriali.
E quindi, soggiogati e bombardati dalle casse di risonanza ed impareggiabili altoparlanti mediatici, siamo come al solito pervasi da questo velo rosso peste perché la Juventus ingaggia draghi di plutonio come De Ligt, Rabiot, Ramsey con una naturalezza calviniana, però nessuno ci fornisce spiegazioni del motivo per cui è così iniqua la distribuzione dei proventi dei diritti televisivi, cosa che, invece, non avviene in premier in cui la prima può incassare massimo il doppio dei proventi destinati all’ultima.
Questo meccanismo brutalmente meritocratico è incomprensibile perché destinando una altissima percentuale altissima dello scintillante argent alla vetusta prima della classe aumenta il gap tra la prima e le altre, e traccia un solco incolmabile in un calcio fatto di società quotate in borsa e di self brand man, di social media e marketineg. L’ovvia conseguenza è la disaffezione per chi deve limitarsi a partecipare senza neppure poter perseguire la pia speranza della vittoria.
Pertanto, la pioggia bagna Castelvolturno e si confonde con le lacrime di chi credeva nella rivoluzione del terzo scudetto, quello cucito a metà. La pioggia è incessante e ci restituisce un calcio che ci insegna che i valori di Paul Norman e del barone de Cubertain non hanno più potenza.
È un calcio in cui conta solo vincere e vincere e ancora vincere e che qualcuno addirittura si giustifica nell’assumerlo come motto. Perché l’arroganza è da sempre concessa ed è da sempre un marchio di fabbrica.
Un calcio che riflette i malumori della napoletanità allorquando ci restituisce le immagini di un retorico Sarri nella conferenza stampa di presentazione alla sabauda signora. Una conferenza in cui sembrava più importante che indossasse o meno la cravatta.
Un ingordo Sarri intento a dispensare, a mo’ di teoreta, corollari educazionali capaci solo di alimentare un circo mediatico in cui raramente si cerca di essere almeno parzialmente rispettosi della dignità morale dello sport.
Chi detiene il potere nel gioco del calcio non potrà mai carpire a fondo l’amarezza di chi è “povero” ed almeno nel calcio vorrebbe specchiarsi nella bellezza di un gioco chiamato a risollevare, emozionare, o quanto meno evitare di affogare in un sistema socio-economico e politico brutalmente razzista, in cui vincere, vincere e di nuovo vincere è l’unica cosa che conta.
In questo vuoto pneumatico riecheggiano nelle nostre stordite menti, le parole di un più accorato Sarri di oltre due anni fa: “il rischio è quello di perdere tanti appassionati che hanno la sfortuna di fare il tifo per squadre che non vinceranno mai e quindi come ho sempre detto, impoverendo il sistema, alla fine si impoveriscono anche i ricchi”.
Giusto, giustissimo. Ed infatti ti risparmierò termini come TRADITORE, perché non siamo nel giardino del Getsemani e perché in fondo ed anche in superficie si parla di un pallone che rotola e perché anche tu ci hai regalato indelebili emozioni.
Ti chiamerò incoerente, affabulatore. Hai inscenato un litigio con AdL che ti ha rincorso per mesi subendo dichiarazioni pubbliche al limite della sopportazione. Celati pertanto, dietro termini come professionismo, celati dietro la tua retorica ed antiretorica. Per me sei solo uno che sente di essere in credito verso il calcio perché frustrato per essere asceso tardi alla vetta. Ebbene hai abbandonato il carrozzone dei poveri per perseguire il tuo fine arrivista. Homo faber ipsius fortunae. Ciao sarri ciao.
Per noi mutilati e “poveri” figli di Partenope è diverso: noi non siamo frustrati, o forse lo siamo ma non coltiviamo pedissequamente l’ossessione della vittoria. Noi perderemo e piangeremo e rideremo e grideremo perché la nostra napoletanità non è una scelta: è una condizione di nascita. Ed in fondo dobbiamo esserti grati, perché ci hai ricordato cosa NON significa essere partenopei, e perché il tuo addio ha spalancato le porte al più grande allenatore che abbia poggiato le natiche su una panchina napoletana.
E solo nel pronunciare il suo nome torno ad essere un grande ottimista: Carlo Ancelotti, che a differenza tua non è un retore, è un oratore perché non ha bisogna dell’eloquenza e pompare sermoni magniloquenti per portare contenuti.
Caro Carlo, in questo giardino, la passione divampa e dilaga, la speranza diviene malattia, ma l’orgoglio è immortale e si emancipa dal giudizio dissennato. Sii allora risacca e scagliati contro l’ottuso scoglio, perché la goccia scava la pietra. La rosa è finalmente matura ed ha pochissime spine: falla sbocciare e fa’ che ogni domenica sia maggio nel nostro giardino.
E se non sarà calcio champagne, che almeno sia calcio spumante.
Viva Carlo e che Napoli sia con te, forza Napoli e sempre sia lodato.
Luigi D’Andrea per l’Avamposto Partenopeo

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione