La Francia era la favorita d’obbligo per il mondiale di Russia 2018 e ha vinto il titolo. Questo titolo mondiale non è praticamente mai stato in discussione e ha radici molto profonde.
La Francia è da parecchi decenni una squadra multiculturale, sfruttando questa caratteristica come una ricchezza. I calciatori di origini africane e centroamericane hanno doti fisiche e atletiche devastanti, mentre quelli di origine araba sono noti per il grande estro.
I francesi hanno vinto tre titoli, due mondiali e un Europeo. E prima di questi titoli c’era stato un grosso periodo di crisi. La nazionale fallì la qualificazione ai mondiali del ’70 e del ’74, così pure a quelli del ’90 e del ’94. Negli anni ’70 venne istituito il centro federale Fernand Sastre, che porta ancora questo nome, e ha ora sede a Clairefontaine, dove si è spostato nel 1986. Il centro ha ben 56 ettari e vanta allenatori di primissimo livello. I calciatori che ne escono non acquisiscono solo nozioni tecnico-tattiche, ma migliorano tantissimo le abilità atletiche.
Prima di Clairefontaine il centro era a Vichy. Per l’epoca era un gioiello, ma ancora non c’erano in vigore sistemi all’avanguardia. Clairefontaine era un Vichy 2.0, dove non ci si limitava all’aspetto tecnico-tattico, ma si puntava anche sul lato emotivo e atletico. Ad ogni modo, la prima rivoluzione diede in dono una nazionale fortissima. Quella del 1984 non si limitava a Platini ma annoverava grandissimi talenti come Tigana, Giresse e Lacombe. Era una nazionale già apertissima a calciatori di origine straniera. Oltre a Le Roi Michel, c’erano altri elementi di origine italiana come Bellone, Battiston, Ferreri, Bravo e Genghini.
Nel 1998 la nazionale era invece popolata da ragazzi provenienti dalle banlieu. I fallimenti degli anni precedenti funsero da motivo di riscatto, con settori giovanili e centri federati ottimizzati e implementati per dare alla nazionale atleti e uomini di spessore. Quel mondiale fu vinto da una Francia multirazziale. Il presidente Chirac dichiarò fiero: “Esiste un momento in cui un popolo ha bisogno di unirsi attorno a un’idea che lo rende fiero di se stesso. Oggi questa squadra tricolore e multicolore restituisce una bella immagine di una Francia umanista, forte, unita”. Oltre a Zidane (di origine cabila) c’erano tantissimi calciatori di origini straniere. C’erano elementi di origine armena (Boghossian, Djorkaeff), africana (Desailly, Vieira), centroamericana (Henry, Thuram, Diomede). La maggior parte di quei ragazzi provenivano da periferie dove vivevano i ceti medio-bassi delle grandi città francesi. Quella nazionale fu soprannominata «black, blanc, beur», ovvero nera, bianca e araba.
Secondo l’Institut Numérique, fino a pochi anni fa oltre il 20% dei calciatori usciti dai Centres de Formation diventava professionista. Oggi quel dato è aumentato fino quasi al 25%. Quelli della Île-de-France sono i principali, ma sono sparsi in tutto il Paese transalpino (Ajaccio, Castelmaurou, Chateauroux, Lievin, Digione, Marsiglia, Ploufragan, Vichy, Reims, Essey-les-Nancy, Saint-Sebastien-sur-Loire e Talence). Nell’ultimo decennio la Francia aveva tracciato la strada per il futuro, con ben 25 milioni circa investiti per ampliare i centri di formazione esistenti.
Ne è conseguito che il numero di talenti usciti è stato immenso. Tra i giovani, oltre a Mbappé, che aspira a diventare a stretto giro il numero uno al mondo, ci sono decine di elementi fortissimi. Tornando al discorso del “black, blanc, beur”, la nazionale campione del mondo 2018 ha annoverato nella formazione titolare circa metà calciatori di origine africana. E il portiere attuale, Lloris, condivide con Barhez le origini spagnole.
Similitudini di un mondiale vinto e di un’organizzazione che parte da lontano. Nel 1998 il buon Mariolino Corso si espresse tra le colonne di Calcio 2000 affermando che all’Italia ci sarebbero voluti 20 anni per colmare quel gap organizzativo. A livello tecnico lo colmammo pressoché subito, vincendo tra l’altro il mondiale 2006, mentre in termini organizzativi, ahinoi, la distanza è aumentata ed è stato fatto ben poco per migliorare. Tuttavia il nuovo corso targato Mancini sta facendo vedere un’interessante inversione di tendenza, come riportato in altri articoli. E i settori giovanili stanno tornando a sfornare un buon numero di talenti, dopo essere stati “dormienti” per anni.
Vincenzo Di Maso

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione