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All’ombra del Vesuvio il pallone scorre veloce. Sicuramente lo seguono in tantissimi, e per questo motivo, non rotola certamente silenzioso. Tantomeno nascosto. È sempre ed ovunque presente nella quotidianità dei napoletani. Un dibattito costante, in cui le opzioni tattiche dell’allenatore e la gestione dell’organico sono perennemente sotto la lente d’ingrandimento di addetti ai lavori, tifosi o semplici simpatizzanti. Una sorta di mosaico, dove personaggi e situazioni si incastrano perfettamente gli uni alle altre, collegando direttamente con un invisibile filo ciò che accade a Castelvolturno, con le aspettative di chi – specialmente nella settimana che accompagna il Napoli alla partita con la Juventus – vorrebbe sapere tutto degli azzurri.

Così, le discussioni che animano l’avvicinamento alla Vecchia Signora sono tutte ispirate alle scelte di Carlo Ancelotti relative alla composizione della coppia d’attacco. Una volta messo Arkadiusz Milik come fulcro del proprio progetto offensivo, al tecnico di Reggiolo, spetta l’ingrato compito di stabilire, di volta in volta, chi sarà il partner da affiancare al centravanti polacco. Ancelotti ha inaugurato un nuovo sistema di gioco, per cui un calciatore determinante per l’estetica trascendentale, imposta nelle stagioni precedenti dal Sarrismo ad una serie A tutto sommato appiattita verso una aurea mediocritas, come Mertens s’è ritrovato ai margini della squadra titolare. Il Napoli attuale ha un gioco assai distante dal calcio di possesso predicato dalla precedente gestione tecnica. Favorisce, invece, la risalita della palla in maniera assai più verticale, appoggiandosi da subito sui suoi attaccanti. È un discorso di scelte direttamente collegate al sistema tattico ed agli uomini che lo interpretano, nel quale appare tangibile la volontà di dare assoluta rilevanza alla figura del centravanti “classico”. Dopo un biennio in cui l’influenza sulla manovra degli azzurri era subordinata a Ciro il Belga, abile nel cucire la manovra oppure nel creare spazi con movimenti ad uscire, in ampiezza o in profondità, determinando gli inserimenti ed i tagli centripeti dei compagni, l’impressione, guardando in questi mesi la squadra di Ancelotti, è quella di essere tornati alle origini. Quando il centravanti si “limitava” a fare a sportellate con le difese avversarie e buttare la palla in porta!!!

E qui bisogna fare una premessa di carattere generale. Il Napoli un centravanti così lo teneva già: Gonzalo Higuaín, mortifero nel presidiare la zona centrale negli ultimi sedici metri, per seguire lo sviluppo dell’azione e concluderla. Oltre che devastante spalle alla porta, con i suoi movimenti “a mezzaluna”, funzionali allo smarcamento. Un giocatore talmente egocentrico ed accentratore, però, da obbligare la squadra a muoversi in stretta connessione con gli spostamenti del suo Top Player, invece che fare il contrario. Che poi le infinite soluzioni possibili, offerte dal calciomercato alla carriera di Higuaín, si siano intrecciate e fatalmente concretizzate con la gigantesca solvibilità economica della Juventus, disponibile a pagarne la clausola risolutiva, è tutt’altro discorso. Così com’è lecito aggiungere che lo stesso Milik era stato preso, in origine, per fare da alternativa al Pipita, piuttosto che giocare in coppia con lui. E soltanto l’infortunio del polacco ha spianato le porte della titolarità all’utilizzo di Mertens come falso nueve. Che poi tanto “falso” non s’è dimostrato, vista la caterva di gol realizzati. Un offensive player moderno, il belga, più a suo agio nell’attaccare in spazi stretti che su ripartenze lunghe, eccellente nei fondamentali richiesti dal ruolo – ad eccezione, per ovvie ragioni, del colpo di testa – che ha riempito comunque egregiamente il vuoto lasciato da Higuaín e Milik, pur avendo caratteristiche diverse rispetto a loro…

È indubbio che Milik sia un attaccante che tenta giocate meno complesse di Higuaín – almeno di quello visto a Napoli nel suo momento migliore, più dinamico ed esplosivo di Arkadiusz – che ama collaborare moltissimo alla manovra ed è capace di crearsi da solo le occasioni per andare in porta. Il polacco, al contrario, non sempre partecipa attivamente al gioco. È specializzato nella finalizzazione. In una squadra come quella costruita da Ancelotti, abituata a cercare presto gli attaccanti con una immediata verticalizzazione ed in cui la manovra – sgravata dal possesso avvolgente e dall’ossessivo giro palla – è più diretta ed essenziale, Milik deve pensare a creare connessioni elementari, senza intervenire ulteriormente nella cucitura del gioco. Ovvero, quando riceve nella zona intermedia, alle spalle dei centrocampisti e affrontando la linea difensiva avversaria, si limita ad appoggiarsi al “rimorchio”, facendo la sponda con il compagno più vicino. In alternativa, allargando la giocata in fascia. Una volta scaricata la palla, si predispone per concludere l’azione, occupando lo spazio in area di rigore, tra i due centrali. Una caratteristica, quella di essere forte fisicamente e difficile da spostare, che potrebbe essere sfruttata, tutte le volte che ce ne fosse la necessità, magari per sottrarsi alla pressione ultra offensiva dell’avversario piuttosto che in un momento di appannamento o mancanza di lucidità, cercando Milik con lanci lunghi da dietro, risolvendo così il problema della risalita del campo con un duello aereo.

In definitiva, attribuendo un ruolo determinante a Milik, Ancelotti ha rinunciato consapevolmente ad un tipo di attaccante meno completo, com’era ad esempio Higuaín e com’è stato per certi versi Mertens, due giocatori in grado di migliorare la manovra del Napoli, creando combinazioni con i compagni che aiutassero la squadra ad avanzare nella metà campo avversaria. Il tecnico di Reggiolo, invece, ha optato per un altro profilo, quello del classico centravanti da area di rigore, bravo a muoversi negli ultimi metri e capace di tirare fuori il massimo da ogni pallone giocabile, semprechè lo possa ricevere nel cono di luce della porta avversaria e guardando la porta, piuttosto che giocandovi di spalle…

 

Francesco Infranca