L’annuncio dell’addio al Napoli arriva nel cuore del 14 febbraio.
“Così vai via non scherzare, no. Domani via per favore no. Devo convincermi però che non è nulla, ma le mie mani tremano In qualche modo io dovrò restare a galla. E così te ne vai, cosa mi è preso adesso?
Forse mi scriverai, ma si è lo stesso”
Una delle più belle canzoni di Claudio Baglioni “Amore bello” per chiudere, nel giorno degli innamorati, una storia durata undici anni e mezzo.
Di solito non si scrive in prima persona, ma stavolta è diverso. L’addio ufficiale è arrivato ieri, ma ieri la squadra è scesa in campo, mi sono preso 24 ore per metabolizzare l’addio e buttare giù una sorta di lettera, proprio come hai fatto tu, capitani mio.
Di solito le lettere partono tutte da un “Caro…”, ma visto che stiamo contravvenendo a tutte le regole del mondo, la voglio iniziare a modo mio:
“Guagliò, Era il sedici luglio del 2007 quando per la prima volta sei entrato a casa nostra (Il Napoli è casa nostra), maglietta a mezze maniche, faccia pulita e da bravo ragazzo, capelli quasi improponibili (farai di peggio in futuro). C’era contestazione, eravamo appena ritornati in A dopo anni bui. Arrivasti con Lavezzi, che quel giorno per la verità somigliava più a “Pino la lavatrice” (Personaggio comico di Zelig) piuttosto che ad uno che avrebbe poi infiammato il San Paolo.
Nella tua prima gara al San Paolo, in Coppa Italia contro il Cesena, già palesasti le tue capacità. Siglasti la rete del 2-0, in una gara che poi sarebbe finita 4-0. Quella sera, io c’ero allo stadio, ebbi la percezione che il Napoli avesse preso un talento mostruoso, ovviamente non avrei mai pensato che saresti riuscito a mettere insieme dei numeri mostruosi con questa maglia.
Da quella presenza, da quel goal, parte una storia lunga storia.
Una storia fatta da 520 presenze e 121 goal. In un calcio dove si cambia maglia ogni tre giorni, hai avuto il coraggio e la follia di restare sempre a Napoli. Farà strano, farà stranissimo non vedere più in campo quel numero 17, quel ragazzo con la cresta che è stato perno insostituibile per tutte le gestioni tecniche che il Napoli ha avuto in questi undici anni e mezzo di serie A.
Quel numero 17 che ho tatuato sulla pelle in onore tuo, quel numero 17 che mi ha fatto provare una gioia immensa con una doppietta a Torino contro la Juve, lo stesso 17 che in finale di Coppa Italia, ancora contro la Juve mette un sigillo su di un trofeo atteso per oltre 20 anni. Diciamoci la verità, a questa storia è mancato il lieto fine. Lo scudetto sarebbe stato il sigillo di questo matrimonio ed invece…
Invece vai via in un febbraio manco troppo freddo, nel giorno di San Valentino (festa degli innamorati), ma ti perdono, perché quando si ama veramente si perdona. Hai deciso di andare via, di provare a chiudere la carriera guadagnando quanto più possibile e ti capisco.
Però, capitano, promettimi una cosa, promettimi che tornerai.
Il Napoli senza Hamsik è come il casatiello senza uovo, è come un Babà senza Rhum. Stai sicuro guagliò, che un giorno, se ne avrò la possibilità, ai miei nipoti racconterò di uno slovacco sbagliato (perché tu sei napoletano) che per undici anni e mezzo, rifiutando tante offerte importanti, ha onorato la maglia e scritto una pagina di storia importante. Ma adesso basta però, sto quasi piangendo. Buona fortuna e buona vita Capità”
Walter Vitale

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione