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“Il mio anno” preferito di Nick Hornby è un libro che contiene tredici racconti “vissuti” del calcio britannico scritti da diversi narratori.

C’è un capitolo dedicato al mitico Leeds degli anni ’70. Adesso riportiamo, con il racconto di Don Watson, la mitica semifinale della Coppa Campioni 1975, in cui il club inglese si ritrovò a sfidare il Barcellona di Cruyff!

 

Leeds-Barcellona, semifinale di andata di Coppa dei Campioni, 1° turno, Elland Road, domenica 9 marzo 1975

Il Graal a forma di Coppa d’Inghilterra era svanito nei quarti di finale, dopo due ripetizioni contro l’Ipswich. Il campionato era sfumato già in inverno, ma restava la Coppa dei Campioni. Temo che passerà parecchio tempo prima che il Leeds torni a giocarne una, ma sono contento che ci abbiano regalato un’altra semifinale di Coppa dei Campioni: la partita più importante che un club possa ospitare sul proprio terreno. Una finale di Coppa UEFA non le lustra nemmeno le scarpe. La combinazione fra tifo scalmanato e copertura bassa rende Elland Road lo stadio più fracassone d’Inghilterra, ma quella sera il calcolo dei decibel andò in tilt. Mancava ancora un’ora prima del calcio d’inizio quando il vocio cominciò a sciogliersi in cori. Alla discesa in campo dei giocatori il clamore sembrava un’entità a sé stante, come il rumore del sangue che scorre in un organismo gigantesco. Al quinto minuto, la belva trattenne il fiato. Ci fu un bel passaggio filtrante per Cruyff, e noi lì in piedi dietro Dave Stewart rimanemmo a guardare il più grande calciatore del mondo che filava verso di lui. Lo vedevamo già: il passo strascicato ed elegante, la finta di corpo, il portiere scartato e la terribile inevitabilità della porta vuota. Tutti i quattordici gol segnati fino ad allora dallo United nella competizione ci passarono in un lampo davanti agli occhi. Ma non successe. Dal nulla si materializzò Gordon McQueen che tolse il pallone dal piede di Cruyff in modo pulito, lo controllò, riprese l’equilibrio e rilanciò verso l’attacco. Scozia 1, Olanda 0. Il primo gol fu la carriera di Bremner rivista al telescopio in un attimo, quando Jordan gli «fece la torre» in area. L’emozione mantenne il pallone a mezz’aria. La belva trattenne il fiato un’altra volta. Il tiro di Billy fu l’esuberanza incarnata, una di quelle conclusioni trionfali che si sbattono dentro con il doppio della forza necessaria, solo per estasi da tripudio. La belva ruggì, fiutando la vittoria. L’azione con cui il Barcellona pareggiò fu un esempio, raro in quella partita, della potenza continentale d’attacco che ci eravamo aspettati da loro: ma il calcio di punizione da cui scaturì era stato un classico caso di arbitraggio surreale di Coppa. Il gol di apertura di Bremner aveva scacciato la tensione, che però adesso serpeggiò di nuovo con il suo familiare senso di nausea. La belva era ferita. E però non fu mai davvero in preda al dubbio, perché quell’anno avevamo la chiara sensazione che la Coppa dei Campioni fosse nostra, e pareggiare contro una delle squadre più forti del mondo avendole concesso una rete in trasferta ci inquietava, d’accordo, ma l’aspettativa era ancora più forte della rassegnazione. Il secondo gol lo segnarono proprio davanti a me. Jordan che si elevava sopra i difensori, qualcuno che mancava il pallone, e questo che finiva tra i piedi di Clarke. Bisogna ammettere questo, su Clarke: se ne poteva criticare il caracollare languido (e in effetti una volta per averlo criticato fui minacciato da un nostro tifoso). Ma in una situazione come quella si poteva contare su di lui. La belva si era alzata prima ancora che il pallone entrasse in porta. 

Barcellona-Leeds, semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni, BBC Radio 2, lunedì 24 marzo 1975

Conosco la tranquilla fiducia che provavano i tifosi del Barcellona in quella primavera del ’75. Anch’io la provai, dopo l’onorevole sconfitta 2-1 del Leeds a Ibrox. Da parte nostra c’era una certa trepidazione mentre il Leeds viaggiava verso il Camp Nou, ma nonostante il minimo vantaggio, sotto sotto giuravamo di essere destinati alla finale. Quella sera alla radio non davano la cronaca completa, quindi per il primo tempo dovemmo accontentarci dei flash di aggiornamento del punteggio. E l’unico arrivò poco più di cinque minuti dopo il calcio d’avvio. Aveva segnato Lorimer grazie all’immancabile assist di Jordan. Ancora gli scozzesi sugli scudi! Il secondo tempo fu una prova di resistenza, mentre la radio ululava e starnazzava in crisi di ricezione tardo-serale, con la qualità della voce del radiocronista che variava dall’altoparlante scadente al walkie-talkie in mezzo a una tempesta di neve – e la belva del Camp Nou lanciava clamori abbastanza vicini al boato del trionfo da rischiare l’infarto.

Quando segnarono, il cronista fu letteralmente sommerso. Poi, in un momento fatale, venne espulso Gordon McQueen. Lì per lì non pensai all’effetto collaterale della perdita del nostro mediano per la finalissima, ma cercai solo di tener salda nella mente l’immagine dello stadio evocata dalle parole del cronista e di irradiare la mia forza di volontà a protezione della zona alle spalle di David Stewart. Al triplice fischio la squadra stramazzò sfinita e trionfante sul prato di Barcellona e io crollai a mia volta sulla moquette della stanza da letto. L’indomani l’«Evening Post» pubblicò un servizio sulla partita vissuta dal personale di Elland Road. Domani, promettevano, i Tifosi. Il giorno dopo sfogliai avidamente il giornale, ma il servizio non fu mai pubblicato – un’omissione, forse, di cattivo auspicio.