La formazione è fatta, la solita di Champions: Ospina; Maksimovic, Albiol, Koulibaly, Mario Rui; Callejon, Allan, Hamsik, Fabian Ruiz; Mertens, Insigne. Anche un allenatore come Ancelotti, che ama il turnover, ha i suoi titolarissimi, come inevitabile che sia. E possiamo anche dire che il Napoli proverà a ripetere la gara di andata coi Reds, magari quella di Parigi col PSG. Proverà non significa, purtroppo, che riuscirà a farlo, sia ben chiaro. Di fronte non c’è il tenero Frosinone di sabato pomeriggio. Ci sono i vice-campioni d’Europa in carica, primi in Premier: scusate se è poco.
Per di più, una squadra che ha l’acqua alla gola, deve necessariamente vincere, altrimenti è fuori.
Ancelotti ha fatto tutto quello che doveva. Ha scelto la formazione, l’ha provata a Bergamo, provando anche alcuni movimenti nuovi, come i due esterni alti più bassi del solito. Ha dato tranquillità alla squadra. Resta il fatto che gli azzurri hanno davanti un muro da scalare.
Resta un muro altissimo da scalare, ma…
Proveranno a scalarlo, possono farcela, ma sempre un muro resta. C’è solo da essere fieri di questa squadra che in Champions sembrava non avesse una sola possibilità di andare avanti. Invece se la gioca avendo quasi il 50% di possibilità di superare il turno. Arriva alla sfida finale in testa alla classifica, e con la sensazione di essere stata sin qui tartassata dagli episodi. Il palo di Insigne a Belgrado, il gol al 93esimo di Di Maria. Anche quel gol evitabile contro la Stella Rossa in casa, che potrebbe pesare molto. Il Napoli per quanto fatto vedere sin qui meriterebbe di essere già qualificato. Invece rischia di restare fuori. Sarebbe una beffa, ma nel calcio ci sta tutto.
Ma il Napoli non arriva “disarmato” a questa sfida. Ha l’allenatore più vincente di tutti i tempi in Europa. Ha una squadra molto esperta a questi livelli. Giocatori che hanno giocato ormai molte gare di Champions, tutti titolari nelle rispettive nazionali, con l’eccezione di Albiol e Callejon.
Le differenze col 2012, sfida col Chelsea
Nel 2012 contro il Chelsea a Stanford Bridge possiamo dire che la tensione vinse gli azzurri più ancora che i Blues. Martedì sarà da questo punto di vista un’altra storia. A nessuno tremeranno le gambe al pensiero di scendere in campo. Di partite come queste ne sono state giocate altre. E poi c’è Carletto che in Champions è come se fosse nel giardino di casa. Ne ha vinte da calciatore e da allenatore. Da tecnico di finali vere ne ha fatte 4, vincendone 3. Klopp, il dirimpettaio, ne ha vissute due, perdendole entrambe.
E col Liverpool Ancelotti ha un conto in sospeso. Coi Reds ha perso la più incredibile delle finali, dopo essere stato in vantaggio per 3-0 alla fine del primo tempo. L’anno dopo si è preso la rivincita, sempre in finale, caso più unico che raro. Adesso è una sorta di bella. Non vale la Champions, ma vale tantissimo.
Liberato Ferrara
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione