Dodici giornate di campionato sono obiettivamente ancora poche per dare un giudizio definitivo su questo Napoli targato Ancelotti ma la sosta, capitata quando il campionato è prossimo ad arrivare ad un terzo del suo cammino, invita a riflessioni che sanno di speculazione e soprattutto di confronto con un passato più o meno recente che riguarda le prime stagioni di Benitez e di Maurizio Sarri in azzurro con questa di Re Carlo.
Non è un ritorno nostalgico, né voglia di paragoni tra i tre tecnici,che lasciano il tempo che trovano, quanto piuttosto il cercare di capire se la squadra e soprattutto il club guidato da De Laurentiis abbia compiuto in queste ultime sei stagioni decisivi passi in avanti e abbia margini reali per un progetto più ambizioso e finalmente vincente.
Proprio Rafa Benitez, qualche giorno fa, ha dichiarato che con Ancelotti in panchina il Napoli può compiere il salto decisivo e vincente. E, forse, non è un semplice caso che il primo Napoli di Benitez abbia grandissime affinità, avallate dai numeri che solitamente non mentono quasi mai, con quello di Ancelotti.
Benitez, infatti, dopo le prime dodici giornate di campionato si trovava al terzo posto con 28 punti realizzati, frutto di 9 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte contro Roma e Juventus. Esattamente lo stesso score di Ancelotti in termini di punti e risultati comprese le due sconfitte contro Juventus e Samp. Solo un caso che anche la differenza reti tra i Napoli dei due allenatori sia la stessa? + 13, con 24 gol segnati e 11 subiti per il Napoli di Benitez e 26 fatti e 13 subiti per Ancelotti che, però, è secondo e non terzo. Era la stagione 2013-14, quella delle 10 vittorie iniziali consecutive della Roma di Garcià che, infatti, comandava la classifica con 32 punti davanti alla Juve di Conte a 31 punti mentre l’Inter di Mazzarri era quarta con 25 punti. Al giro di boa la Juve era primissima con 52 punti, la Roma seconda a 44 punti ed il Napoli terzo con 42 punti. Fu il campionato dei 102 punti finali bianconeri con il Napoli a chiudere terzo a quota 78 e vincitore della Coppa Italia contro la Fiorentina.
Leggermente diverso l’impatto di Sarri alla sua prima stagione, perché dopo 12 giornate era quarto con 25 punti frutto di 7 vittorie, 4 pareggi e 1 sola sconfitta, a riprova di difficoltà iniziali per il tecnico che era alla sua prima esperienza con una squadra d’alto livello. I 22 gol segnati e i soli 8 subiti danno subito la prima differenza tra il calcio sarriano, ai primi passi anche a livello internazionale, e quello di due allenatori esperti e a vocazione chiaramente europea come Benitez e Ancelotti. Sarri, infatti, nonostante la sua filosofia sul “possesso palla”, molto vicina al pensiero del grandissimo Liedholm, “Se abbiamo noi il pallone più a lungo, corriamo meno rischi di subire gol”, è sicuramente un tecnico che privilegia e cura molto la fase difensiva e gli allenamenti di settore con il drone sono la testimonianza indiscutibile di una propensione al “prima non prenderle”. Tuttavia, nella sua prima stagione, Sarri al giro di boa era campione d’inverno con 41 punti e altrettanti ne fece nel girone di ritorno, chiudendo a 82 punti, record di punti assoluto per il Napoli, ma superato dalla super Juve di Allegri.
Ora, viste le differenze minime in fatto di punti e classifica tra i tre tecnici dopo le prime dodici giornate, escludendo paragoni sempre antipatici, il vero interrogativo da porsi per curiosi, tifosi e anche per De Laurentiis, a mio sommesso avviso è questo: Quale dei tre tecnici ha dato di più alla squadra in termini di carattere, personalità e voglia di competere, fondendosi al meglio con lo spogliatoio?
Benitez, grandissima figura di spessore internazionale, ha avuto il grande merito di dare il via alla internazionalizzazione di club e squadra portando giocatori come Albiol, Callejon e Mertens che sono ancora dei pilastri del Napoli attuale. Ha avuto grandi meriti come manager ma da tecnico ha palesato qualche problema nel gestire una rosa non proprio omogenea e priva di quei leaders che avevano fatto la sua fortuna a Liverpool. La sua “sfortuna” sono stati i 12 punti fatti nel girone di Champions che non furono sufficienti a superare un girone di ferro con Arsenal, Borussia e Marsiglia. Mai successo in Europa!
Sarri, alla sua prima stagione, ha avuto il grande merito di cambiare le sue convinzioni tattiche passando dal 4-3-1-2 a quel 4-3-3 che è poi diventato il marchio di fabbrica del suo calcio. Meticoloso al massimo, ha dato alla squadra quell’organizzazione tattica, soprattutto in fase di non possesso, che mancava quasi del tutto al Napoli di Benitez. Il top lo ha raggiunto alla sua terza stagione sacrificando spesso l’istinto e l’estro di qualche giocatore alle primarie esigenze del collettivo e, forse, anche del suo giustissimo ed umano desiderio di imporsi a livello internazionale con una squadra di buon livello ma non eccellente grazie alla “grande bellezza” che ha suscitato il suo calcio.
Ancelotti, arrivato al Napoli dopo il divorzio non certo tranquillo tra De Laurentiis e Sarri, aveva, ha, il difficile compito di portare ancora più in alto l’ambizione dei tifosi e dello stesso presidente dovendo rappresentare per tutti, giocatori compresi, la sintesi combinata del meglio di Benitez e Sarri. Lo scetticismo iniziale, quasi generale tra tifosi e addetti se si esclude il solo ADL, nasceva dal fatto che, visto il palmares, la scelta Napoli fosse una scelta di “nicchia” in attesa di tempi migliori. Invece, nelle sue prime dodici gare di campionato e nelle quattro di Champions ha dimostrato di essersi calato in pieno in una realtà tecnica a lui non completamente conosciuta visti i club ed i grandi giocatori allenati in precedenza, portando serenità e convinzione nei propri mezzi a tutto il gruppo. Il tecnico di Reggiolo è stato capace di liberare la fantasia di molti azzurri, dando loro libertà di azione e di scelte senza penalizzare gli equilibri tattici e l’organizzazione di fondo della squadra, recuperando molto del lavoro fatto da Sarri, ma cercando una maggiore semplicità di gioco frutto di esperienza e di conoscenze antiche. Come Benitez, nonostante un girone di ferro, è in corsa per centrare gli ottavi di Champions senza perdere di vista il campionato che, nella fase discendente del girone d’andata, sembra voler fare l’occhiolino al Napoli.
Tre allenatori, tre modi diversi di vivere e pensare il calcio, che però tutti hanno contribuito alla indubbia crescita del gruppo a livello tecnico, tattico e mentale.
Mi sbilancio e dico che Ancelotti ha qualcosa in più degli altri due grandi tecnici, perché sta facendo un grandissimo lavoro soprattutto a livello psicologico. Tenere tutti i giocatori sulla corda, facendoli sentire tutti importanti e impiegandoli con rotazioni ampie ma ragionate è il “segreto” di una squadra che appare sempre più convinta della sua forza e delle sue capacità. Ancelotti, insomma, in quattro mesi di lavoro nelle gambe e nella testa dei suoi uomini ha forgiato una squadra che sembra pronta per l’ultimo step, quello della definitiva maturazione.
Un Napoli che va lasciato correre con le sue gambe e con la “sua” testa, senza forzature, con i suoi pregi ed anche i suoi difetti. Dove arriverà l’Ancelotti band lo scopriremo solo “vivendo” come cantava Battisti. Per ora, godiamoci la gioia dell’oggi sapendo bene che del doman non v’è certezza, soprattutto nei palazzi del potere pallonaro. Teniamoci ben stretta la crescita di un gruppo che Ancelotti ha trovato come uno “scolaretto” perfettino e preciso nell’eseguire la grandissima lezione tattica di Sarri ed ora sta provando a portarlo a livelli di …università in grado di gestire in autonomia la lezione ancelottiana, scegliendo quando accelerare o rallentare i ritmi di gara.
Questo Napoli di Ancelotti emoziona perché ha spinto più in alto l’asticella delle difficoltà e degli obiettivi da raggiungere. Ma se Ancelotti ha un compito tecnico, tocca e toccherà al presidente far si che il grande lavoro di sintesi tecnico-tattica del suo allenatore possa trovare la giusta realizzazione.
Domenica al San Paolo contro il Chievo c’è voglia di ritornare a vedere quelle giocate, quei colpi che son frutto del lavoro di tutti e tre i tecnici e che Ancelotti sta rifinendo affinché la “grande Bellezza” non rimanga un ‘utopia ma diventi in concreto lo strumento più efficace per vincere.
Liberato Ferrara
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione